L’insostenibile leggerezza del nebbiolo

Ci fu un periodo della mia vita, in cui, utilizzando una felice espressione coniata da grandi degustatori, mi definivo nebbiolodipendente. Effetto di questo mio maniacale innamoramento: una serie di “ciocche” da antologia, e l’accaparramento di decine e decine di bottiglie, proveniente da zone diverse, a base di nebbiolo.È risalente a quell’epoca il nebbiolo valtellinese sacrificato per la cena a base di pizzoccheri a casa di vecchi amici.

Credo che solo i vini da uve nebbiolo sappiamo invecchiare assumendo un’impareggiabile vena di aristocraticità eterea: la stessa affiorante con impeto cavalleresco da questo Inferno Valtellina Superiore 2006 docg della straordinaria Nino Negri spa di Chiuro. Profondo ed al contempo leggero come un’amicizia di vecchia data, delicato ed avvolgente come una sensuale carezza, tagliente e caldo come il ferro della spada: questa è la fotografia del compagno di viaggio incontrato.

Già in fase di raggiunta maturazione, naso giocato su evolute note terziarie di cuoio, tabacco, cioccolato nero di Modica (di cui magicamente ne percepisci la polverosità). Non ha perso toni di freschezza, ma il gusto è affascinato dalla setosità del tannino. E tornano aromi di frutta matura e cacao, infiniti.

 d.c.

Controetichetta ed etichetta provati dal tempo.


Ma tappo perfetto.

Povero Anacleto

Potrebbe sembrare il titolo di una novella pirandelliana, ed invece è la sintesi dell’esperienza odierna.


Anacleto: metodo classico da uve chardonnay, 30 mesi sui lieviti da un millesimo 2011 con sboccatura generica 2015. Tutte caratteristiche che possono identificare  un prodotto di punta della cantina, nella fattispecie la Cantina Bonelli in Rivergaro.



Bottiglia ed etichettatura semplice, ma non per questo non eleganti.

Tappo non generico, anzi ricercata l’iniziale caratterizzante.



Giallo paglierino tenue con note di gioventù, nonostante qualche anno sulle spalle… perlage non intenso ma sicuramente fine.


Sembrerebbe tutto perfetto, se non fosse che…TAPPO!!! Un tragica infestazione da tricloroanisolo!  Peccato… 

Concederemo in futuro al buon Anacleto la giusta rivincita.

d.c.

Amarcord

È oramai un passato lontano. Partecipavo, immeritatamente, ad una “calotta” composta da degustatori prestigiosi per fama e preparazione, tra le più professionali mai incontrate in terreno Italico. A quel gruppo straordinario tornano i miei pensieri ed i miei ricordi, e la malinconia che non sarà più possibile ricostituirlo. Del loro sapere mi sono nutrito, con la loro esperienza sono cresciuto, di tutti loro miei insuperabili maestri. A quel gruppo di pazzi appassionati sono legate degustazioni irripetibili reiterate con la disperazione di ricercatori insaziabili. Ed intorno a quel tavolo di degustazione, nascosto in un classico retrobottega di provincia, si sono stappate bottiglie introvabili, assaggiati piatti quasi esoterici, emozionati da poesia e letteratura: tutti gli ingredienti perché si compissero volontari riti misterici. È ad uno di quegli incontri, forse il più strabiliante, che va il mio ricordo di questa sera. E così cercherò in futuro, per puro piacere personale, di ricostruire quegli appuntamenti e magari ricordare qualche dettaglio, sicuramente i vini incontrati.

Solo per la vostra invidia…

Era una domenica di fine autunno del 2009; tema della magia erano i Premiers Grand Cru Classé di Bourdeaux: tutti in una volta…Ma la follia non finì ahimè li!

Questa la sequenza dei vini: Chateau Latour 2001, Chateau Mouton Rothschild 2001, Chateau Lafite 1997, Chateau Margaux 1996, Chateau Haut Brion 1989. Già questa serie avrebbe potuto far vacillare la tenuta psichica di qualsiasi appassionato, ma noi no! Non ci fermammo. 

Perchè passeggiare solo su una riva della Garonna? C’era, nascosta nascosta una scatola di legno con 2 bottiglie di Chateau Cheval Blanc 1996: la prima, alla stappatura frizzò, e ricordo come ci guardammo tutti quanti, con una nota di sorpresa ed un pò di delusione, ma tanta curiosità. Dopo la dovuta ossigenazione, vi assicuro che incontrammo un vino straordinario. Ed allora quello che dimorava ancora in cantina? Di questo la stappatura fu perfetta, e non ho parole per raccontare come sia su quella bottiglia  stampato il ricordo del più grande vino rosso che abbia mai bevuto nella mia vita: tuttora le suggestioni di quel incredibile St.Emilion mi coinvolgono.

Ma potevamo fermarci lì? La classificazione del 1855 imponeva la chiusura con il Premier Grand Cru Superieur: Chateau d’Yquem 1996.

Il knockout era compiuto: inumano riprendersi…

Manca solo l’ultimo elemento: insieme a quei pazzi, c’era uno chef, anche lui magico, che accompagnò ogni vino con un piatto dedicato. Ho accennato prima a piatti esoterici: il signature dish fu un incredibile “beccacce alla Mitterand”, ma di queste racconterò un’altra volta…

d.c.

Settimana enigmistica: aguzzate la vista

Guardate che cosa curiosa: mi sono trovato di fronte a due bottiglie prodotte dalla medesima cantina, molto simili, troppo simili, ma non uguali. In perfetto stile enigmistico trovate le differenze e poi spiegatemi il perché… roba da cervelloni del marketing e da studi legali. Il primo lettore che troverà la soluzione vincerà una spumeggiante sorpresa…

I bottiglia


II bottiglia 


Un aiutino? …è sparito Azienda!

Osservare il dettaglio.





I bottiglia: retroetichetta.


II bottiglia… e tutte le utili informazioni sono sparite…


Tappo: anonimo il primo…


…anonimo il secondo!


Il primo vino nel bicchiere: il deciso colore tendente all’oro ed un olfatto con nette note ossidate fanno pensare che il campione è decisamente più…?


… più vecchio del secondo vino, dai colori più tenui e dai profumi ed aromi più delicati e piacevoli.


Forse Vi ho raccontato troppo! Ora attendo le Vostre ipotesi: al fortunato vincitore in omaggio una straordinaria degustazione di Vini spumanti piacentini attentamente selezionati.

Alcuni dettagli delle due bottiglie: prodotte da F&P marchio commerciale della più nota Quattro Valli, una delle più importanti realtà vitivinicole piacentine. I vitigni utilizzati scopriamo essere: Chardonnay, Pinot nero ed il tipico Ortrugo. Spumantizzazione in autoclave, ma il secondo vino (evidentemente più giovane) è sorprendentemente fine e piacevole, ne temo la tenuta nel tempo. Volume alcolico leggero leggero (11,5%) da farne un gradevole vino da aperitivo.

d.c.

Un gelato al limon…gelato al limon…

…libertà e per linee colorate, ecco quello che io ti darò. E la sensualità delle vite disperate, ecco il dono che io ti farò…”.

Chissà a che cosa si ispirasse l’avvocato astigiano? Io ho un sospetto! A me, vita disperata, ed al mio Zind  Humbrecht (Riesling 2001 Heimbourg, Alsace Aoc) che con il suo arcobaleno ha illuminato questo uggioso pomeriggio autunnale. E come di fronte ad un miracolo, bisogna rimanere senza parole, e lasciarsi abbandonare alle suggestioni. 

d.c.

Il gusto dell’antico del Sangiovese

Antica la zona di produzione, antica la cantina (narrata sin dal medioevo), ma soprattutto antico il gusto di un vino, per lo scrivente dal fascino impareggiabile. Chiaccherata ed un po’ dimenticata la denominazione di origine per eccessi modernisti inseguiti da molti dei produttori aderenti, forse troppo stretti nella morsa di un Chianti iper produttivo e dall’irrefrenabile marketing promozionale e dal non troppo lontano “Sua Maestà” il Brunello. Ma qui no! La forte sensazione nell’avvicinare il bicchiere è di arrampicarsi nella storia e nel cuore del Sangiovese. Riserva 2005 che scopriamo prodotta in 6.000 esemplari, nell’assemblaggio storico tra uve di Sangiovese (75%) ed una quota a complemento di Cannaiolo e Cabernet Sauvignon (ricordo che lo stesso dimora sulle colline intorno a Firenze dai tempi di Caterina de’Medici, importato dalla stessa e chiamata “uva francesca”).  Il rosso rubino nel bicchiere comincia a virare su note decisamente granate. I profumi sono intensissimi, ancora fortemente giocati su note di frutta rossa, marasca su tutti, ed una viola leggermente passita e suadente. L’aggettivo più corretto è signorile, quasi aristocratico. Solo dopo un po’ di ossigenazione avanzano note terziarie di tabacco e cuoio. In bocca l’acidità è persino aggressiva, donando note di spigolosità detergente. Qui la retrolfattazione restituisce note terrose e di tabacco. La componente alcolica seppur presente (13%) non è mai percepita. Persistenza lunghissima per un oblio di suggestioni.

Villa il Poggiolo, Riserva 2005, Cianchi Baldazzi, Carmignano docg.

d.c.



Tappo nobile e perfetto nonostante 11 anni.


Sanguis Giovis….

L’arte dell’ossidazione

Dopo una serie di incontri non propriamente piacevoli (alcuni dei quali racconterò in seguito) dovevo rinfrancarmi con il mondo, ed in tema di ossidazione mi sono tuffato nella “ruggine” aprendo uno straordinario Madera antico. Il Sercial old reserve Barbeito 10 years old dimorava nella mia cambusa da oltre un ventennio (cioè da quando per una settimana intera mi sono esclusivamente nutrito di liquidi relegato in un esilio paradisiaco sull’isola atlantica). Dal momento che questo blog (come già abbiamo detto) confidenziale non ha alcuna intenzione di essere una didascalica lezione da professorino, se qualcuno dei venticinque lettori è curioso di conoscere il metodo di produzione del Madera, se lo vada a studiare per conto proprio. Posso solo consigliare lui di abbinare alla lettura una fredda bottiglia di Sercial… vedremo poi se farà ancora quella faccia quando sentirà il termine “ossidazione”. Signori… il paradiso. Nei profumi di quel bicchiere puoi trovare di tutto: finezza da fioretto, intensità da pugile. L’uva passa vira al fico, cacao, tabacco (biondo). Una profondità da fossa delle Marianne. E poi perdendo un po’ di temperatura l’uva diventa spina e l’acidità ti avvolge l’olfatto. No… non sono ancora ubriaco! Ma le sensazioni si fondono confondendo i sensi. In bocca tagliente, misurato come un bisturi, infinito in persistenza. E tornano note agrumate imbevute di cioccolato amaro. Ma cosa fate ancora lì? Fra poco la bottiglia è finita.

d.c.



La felicità in un bicchiere ed in una bottiglia quasi finita… da solo!


Ai fondi del caffè preferisco la lettura di questi…

La curiosità a volte ha un costo…

Oro oro oro, Vino Spumante.Azienda vitivinicola Daniele Ponzini, Vicobarone (PC).

Bottiglia il cui studio estetico rivela la volontà di attrarre consumatori: poco tradizionale, molto di effetto, ma assolutamente priva di informazioni (peraltro non recuperabili neanche sul web). Il contenuto è sicuramente di colore dorato, ma tutto il resto è abbandonato alla maestria/fantasia dell’avventizio degustator bevitore. Tappo a fungo, anonimo. Olfatto che fa trasparire una consistente ossidazione che affossa una base aromatica di fiori gialli, camomilla e note fruttate dolci, ma anche qualche “puzzetta” di troppo (se dovessimo giocarci il vitigno, punterei la posta su una Malvasia, sottoposta ad una surmaturazione ). In bocca l’acidità si fa anche viva, ma il supporto carbonico del processo di spumantizzazione (credo, anzi potrei giurare in autoclave) però è insufficiente a dare struttura. L’aromaticità del vitigno ritorna cosparsa di sgradevole nota brûlé… dimentichiamo!

d.c.

P.s.

Mi viene voglia di invocare il grande Maestro e ricordarmi che la vita è troppo breve per mangiare e bere male…


Come siamo diventati sofisticati…

Ma quanto tempo era che non aprivo un rosso della mia terra? Ossia un vino della denominazione Curtefranca, già denominata Terre di Franciacorta, già… Ma quanti sono i produttori che insistono su questa denominazione? Si sa di nobili produttori di bollicine che si pregiano di alcune etichette di Curtefranca rosso e bianco a prezzi borgognoni. Ma mi incuriosisce sapere se il “tipico” taglio bordolese bresciano ha ancora un mercato significativo fuori dai confini locali.

La Montina Curtefranca Rosso dei Dossi 2012, 12% vol. di alcool. Da uve Cabernet (le indicazioni dell’etichetta non aiutano a rilevarne la tipologia, credo però il più morbido sauvignon) e Merlot. 8 mesi di affinamento in barrique ed 1 anno di bottiglia prima di essere messo in commercio. Vino semplice e facile, di gran frutto rosso all’olfatto, piacevole seppur non intensissimo. Fresco e brillante nel cavo orale, con una bella acidità che aiuta la pulizia dello stesso, pur se abbinato ad un piatto ricco dì grassezza come i tipici salumi bresciani. Ma la caratteristica più rilevante è la vivacità, anzi la giovinezza di un vino che invece comincia ad avere già 4 autunni alle spalle. Bottiglia di assoluta economicità: 13 eur in ristorazione (meno di 7 su vendite on-line). Ma perché ci siamo dimenticati dei nostri rossi?

d.c.

Il dettaglio dell’etichetta.


La retroetichetta un po’ troppo sintetica.


La vividezza di un rosso rubino da paradigma nonostante i 4 autunni.

Rebo, vino da invecchiamento

Qualche anno fa dedicai un po’ di attenzione ai vini nati dal misterioso vitigno Rebo, incrocio tra Merlot e Teroldego creato nel dopoguerra nella straordinaria “scuola” di San Michele all’ Adige dagli studi di Rebo Rigotti. Più facilmente rintracciabile in Trentino, sperimentato presso le cantine del Benaco bresciano alla fine dei primi lustri del nuovo millennio. Risale ad allora la mia raccolta e le mie bevute…

Così come risale al 2008 la vendemmia dello splendido Rebo stappato oggi. Ancora IGT del Benaco bresciano, Singia (che a mia memoria topografica è indicazione della vigna), Cascina Belmonte in Muscoline, località Moniga del Bosco (siamo ancora nella valle del Chiese, la vista del lago è inibita pur essendo a poche centinaia di metri dalla sommità della collina morenica).  Generoso il volume alcolico (14,5%). Sorprendente la vivacità e la vitalità del vino nel nostro bicchiere. Di un bel rubino intenso, impenetrabile. Mi sarei aspettato pennellate granate se non aranciate, qui introvabili. Naso intenso e delicato, giocato su note nette di mirtillo e di polveroso cacao, ma su uno sfondo decisamente “smaltato”.  In bocca meno intenso che all’olfatto, ma la tenuta di un’acidità ferrea bilancia la componente alcolica mai invasiva.  Delizioso il ritorno cioccolatoso, che sostiene la persistenza a livelli da record di durata.

Chi l’avrebbe mai detto di una tenuta del tempo tanto granitica, mantenendo il prodotto non solo integro, ma probabilmente non ancora al culmine della propria evoluzione (tranquilli compari… ne ho ancora un esemplare in cantina!). Avvicinato in abbinamento al primo spiedo dell’anno, ne è uscito come regale e perfetto compagno.

d.c.


Analisi di un tappo perfetto.


Il dettaglio di un’etichetta a mio giudizio bellissima (ed oramai abbandonata esaminate le ultime release).


I dettagli in controetichetta.


L’intensità di colore.