Quest’anno il Festival Franciacorta è baciato da un sole estivo ma la voglia di visitare la cantina Le Marchesine nasce in altro contesto climatico. Per recuperare un po’ di forma fisica, quest’inverno mi sono dato alla difesa personale e al Ju Jitsu. Fra una botta, una falciata e una parata di colpo con l’istruttore Davide Chiarini, il discorso è andato a “parare” sul vino e la Franciacorta. Ed è lì che il Maestro mi ha fatto il nome de Le Marchesine.
Devo dire che per andare per cantine non ho bisogno di essere sollecitato con la violenza, sono anche stato incentivato da segnalazioni di amici sommelier, quindi mi sono dovuto togliere questo chiodo al momento opportuno.
Ad accogliere me e “il Paolo”, un “fan” delle visite in cantina di Winetopblog, trovo Andrea Biatta, propriétaire récoltant della cantina, anche lui esperto di arti marziali nonchè, per sua stessa ammissione, cugino del Maestro di cui sopra.
Sicché si comincia la visita della parte produttiva delle bollicine per poi concludere con l’assaggio delle medesime, prima la parte tecnica poi quella edonistica.
Il vino viene vinificato solo in acciaio per scelta filosofica aziendale, il fine è quello di garantire freschezza e linearità del prodotto. Le uve lavorate vanno dallo Chardonnay, al Pinot Nero, al “rognoso” Pinot Bianco e provengono da appezzamenti posti in varie zone della Franciacorta ove la cantina pratica la c.d. lotta integrata a difesa della vite.
Così partendo dalle cisterne di acciaio a temperatura controllata andiamo verso la cantina dove riposano le bottiglie e lì, ohibò, non c’è neppure una pupitre neanche per fare una foto ricordo. Il remuage è tutto eseguito con i giropallet (che potrebbe sembrare anche una parolaccia). Tuttavia Andrea ci dice che se da un lato è poco romantico dall’altro garantisce loro una miglior esecuzione della manovra e standardizzazione del risultato ottimale che, su un volume di oltre 500.000 bottiglie, è indispensabile.
Ultimo passaggio la zona dedicata al dégorgement, aggiunta della liqueur d’expédition, tappatura ed etichettatura delle bottiglie. Molto interessante ma vista l’ora ormai vicina a quella dell’aperitivo fremevo per assaggiare il prodotto finale della filiera: i loro Franciacorta.
Così giungiamo nell’agognata sala degustazione dove troviamo ad attenderci in una boule piena di ghiaccio con Brut, Extra-Brut, Satèn, Rosè, e Blanc de Blancs in bella mostra.
La sequenza d’assaggio è stata questa:
Extra-brut: Bella spuma bianca, un bel giallo paglierino e perlage fitto e persistente, naso floreale e note di crosta di pane, al palato la carbonica è ben integrata e non aggredisce. Freschezza agrumata e pulizia finali. Diresti subito che è un Franciacorta di classe. Chardonnay 70%, Pinot bianco 20%, Pinot nero 10%. Residuo zuccherino 1%. A parte questi dettagli da laboratorio d’analisi, mi è piaciuto molto (in calce le fotografie di una delle bottiglie acquistate).
Brut: Un po’ piacione per il grado zuccherino vicino al 9-9,5%. Ciccioso. Non è un difetto se, come questo, regala rotondità da aperitivo e voglia di berne due bicchieri di fila. Chardonnay 70%, Pinot bianco 20%, Pinot nero 10%.
Satèn: Solo Chardonnay. Paglierino scarico, non banale al naso e non vaniglioso al palato ma vino pour femme, senza ruffianerie. Setosa la bollicina. Regala leggerezza nel bicchiere. Da bere in compagnia strettamente femminile se poi si mangia anche qualcosa è meglio.
Blanc de Blancs: lo dice la parola stessa è solo Chardonnay e sosta 48 mesi sui lieviti. Finezza vado cercando e qui l’ho trovata. Sicuramente il più persistente fra quelli assaggiati. Bella mineralità, burro salato, con miele di acacia finale. Chapeau.
Rosè: 50% Chardonnay, 50% Pinot Nero. Color buccia di cipolla azzeccato e per un rosè si è già a metà dell’opera. Il Pinot Nero regala, oltre al colore e ai sentori di lampone al naso, una maggior struttura rispetto agli altri ed un finale leggermente amaricante. Di grande moda ora il rosè lo abbinerei anche un piatto di spiedo alla bresciana.
Dulcis in fundo abbiamo assaggiato a parte la Riserva Secolo Novo Brut, Chardonnay 100%. “Champagnoso” nell’attacco di mela, mineralità al limite del gessoso grazie all’uva che proviene da un appezzamento posto sulla collina della Santissima a Gussago che per caratteristiche del terreno contiene anche roccia calcarea a fianco dell’argilla. Complesso e nel contempo equilibrato. Sicuramente una bottiglia importante sia nel gusto che, ça va sans dire, nel prezzo.
Non posso tralasciare la simpatia di Loris Biatta, il papà di Andrea, che ha tenuto a rimarcare che i vini non fanno fermentazione malolattica nè viene usato legno per mantenere il più possibile la freschezza e la piacevolezza di beva. Non è facile fare il vino buono e piacevole da bere. Infatti, oltre a lavorare tutta la famiglia Biatta in cantina Le Marchesine si avvalgono anche della collaborazione di un enologo francese e di altri esperti esterni.
Da ultimo, per far capire che il palato “agreste” dei bresciani non fosse molto educato perché il vino non basta produrlo ma bisogna anche saper farlo bene, il signor Loris Biatta ha ricordato l’ episodio spesso ricorrente di quando si andava dal contadino che ti faceva assaggiare orgoglioso il suo vino sicuramente naturale che però “‘l sa de zét”*.
In conclusione, fra una risata e una pacca sulle spalle, è scattato l’acquisto dell’Extra-Brut che mi ha convinto molto perchè è equilibrato e traduce bene quello che per me dovrebbe essere il Franciacorta e come dice saggiamente il siòr Loris Biatta, “ne bevi una bottiglia senza accorgertene“. Parole sante!
By D.T.
*Sa di aceto.