Extra Brut Paul Lebrun

Serata di luglio, caldo afoso. Urge qualcosa di rinfrescante che abbia facoltà di sollevare il morale.
E allora Champo! Consigliato dal mio pusher opto per l’Extra Brut di Paul Lebrun di Cramant, villaggio “Grand Cru” della Côte des Blancs.
La maison è consacrata allo chardonnay che nel taglio extra brut é per l’80% proveniente da Cramant e per il restante 20% da Sézzane.
Blanc de blancs, circa tre anni sur lie. Abbondano i riflessi dorati nell’elegante giallo puntellato dagli spilli del fine perlage. Invoglia all’assaggio….
E allora mambo! Al naso la fragranza è immediata: agrumi e frutti canditi poi croissant al burro, note di caramello e accenni di miele. Al palato morbida mousse dal buon equilibrio aromatico non eccessivamente secco se consideriamo il basso dosaggio (circa 4 gr/litro). Ne berrei una cassa, rinfresca e allieta!
Ottima scoperta dal buon rapporto qualità prezzo.
Massimiliano grazie per il consiglio!

R.R.

Dosaggio zero Riserva 2007. Lo Sparviere. Franciacorta docg.

E poi… sicuramente per la benedetta incuranza di qualcuno, ti ritrovi a rintracciare, in un aperitivo nato per sbaglio, una bottiglia così… e tu invochi al miracolo! Perfetto alla vista, con un giallo paglierino carico ed un perlage degno di una grande maison di Epernay. I profumi che si sprigionano dal bicchiere sono la prova che in Franciacorta si producono grandi bottiglie ( ed io continuo a ripetermi: sempre più nei “non dosati”): c’è ancora molta gioventù in un frutto giallo molto croccante (trovi le pesche nettarine e le albicocche, mai l’attesa banana), fuso con note lontane di pinoli e nocciola tostata che cresce ogni secondo che passa. È meraviglioso l’equilibrio tra una rotondità abbracciante e l’assoluta assenza di dolcezza. In bocca la struttura è imperiosa, granitica: nulla è lasciato al caso. Il passaggio tra la coltellata dell’acidità e la morsa della sapidità è senza soluzione di continuità: la bocca è ingabbiata in una morsa, ma non se ne vuole liberare. È eleganza allo stato puro, finissima ed avvolgente. E rimane in bocca una percezione lunga che si trasforma magicamente già in ricordo. Magnifico!

d.c.

Le Vaglie 2018. Verdicchio dei Castelli di Jesi. Santa Barbara.

È incredibile la schiettezza di questo Verdicchio che ti cattura al primo assaggio. Alla vista ed al naso la sensazione è verde, ma l’orto in cui ti imbatti è variegato ed esteso: c’è lo sfalcio estivo delle erbe di alpeggio, ma presto arriva un pesto di basilico e rosmarino, per poi continuare su note più dolci e fruttate, tra il melone cantalupo ed un commovente pompelmo rosa maturo. Ma in verità, più inzuppi il naso è più scopri… In bocca il binario è dritto, tra un’acidità ancora corrosiva (che fa sperare in una vita lunghissima), ed una sapidità ancora non doma e che squilibra la bevuta verso le durezze, cancellando, di fatto, le morbidezze ancora letargiche. Bottiglia da aprire fin da subito senza inibizioni, e frequentarne la compagnia per i prossimi dieci anni!

d.c.

Citanò 2017. Falerio Pecorino doc. Fontezoppa.

Arriva fino a lì… e poi svanisce! Al naso convince con certezza: una volta areato e leggermente scaldato (corretta l’indicazione in etichetta di servirlo a 10 gradi, ossia non propriamente freddissimo) lascia scappare un intero “giardino dei giusti” composto da numerose erbe aromatiche e fiori. Profumi sussurrati, ma netti e ben distinguibili: e per cui potrete raccogliere dal rosmarino alla menta, accenni di salvia ed eucalipto. In bocca però si ferma… in punta di lingua! Dalla freschezza acida persino aggressiva non riesce ad arrotondarsi e coinvolgere con pienezza il cavo orale: struttura debole e persistenza deludente.

d.c.

Mandolara 2018. Le Morette, Zenato. Lugana doc.

Lugana che privilegia i toni del calore rispetto a temi, probabilmente individuati nella nouvelle vague stilistica della turbiana morenica del basso Benaco. La limpidezza del paglierino è tinta di un giallo carico. I profumi, senz’altro intensi, sanno di erbe aromatiche più che di frutta, che non celano quella mandorla, che per tanto tempo ha rappresentato un tema comune tra le cantine, ma è una mandorla un po’ amarognola, lenita solamente dalla morbidezza di una sensazione di calore. In bocca la freschezza è un po’ debole ed il cavo orale si scalda di calore alcolico, apparentemente più elevato della misura indicata in etichetta. E ritorna un ammandorlato che svanisce con una certa semplicità.

d.c.

Borghetta 2016. Lugana Riserva doc. Avanzi.

Forse è ancora molto presto (nel retro etichetta si invoca il plenilunio nel lustro…), ma il Lugana Riserva mi è apparso ancora un po’ immaturo nel gusto e nel “progetto”… Il frutto è fortemente tropicale (nel mitico Brolettino l’avevamo definito “avanguardista”), ma come correttamente rilevato da Tito (che mi ha aperto la bottiglia) è fin troppo dolce. Ma devo ammettere che la caratteristica che più ha frenato i miei entusiasmi è la quantità di legno nel bicchiere. La barrique è dichiarata come elemento di struttura, ma nel 2016 appare ancora troppo invasiva (o perlomeno ancora poco “digerita”…) e dal modello stilistico un po’ superato: sembra di ritornare al gusto anni ’90, poi disconosciuto un po’ da tutti.

Avanguardia e Modernariato sono forse oggi due stili ancora da conciliare…

Rosa di maggio 2017. I tramonti. Arrigoni. Cinqueterre doc

Un colore giallo carico inconsueto, assomigliante ad una produzione biodinamica. Profumi che lasciano l’impronta di un vino difficile, anche da comprendere: i profumi non sono usuali! Sicuramente corretti nella polpa gialla del frutto maturo e nei petali di fiori bianchi primaverili, in parte anche ammalianti (la nota di rosmarino appena accennata è un tocco sublime) per non dire affascinanti nella netta speziatura. Ma io profumi così, non li ho mai trovati! E come sempre la novità un po’ spiazza… ma l’impressione che ti coglie, in realtà, è che questi profumi siano antichi, dimenticati…In bocca poi prevale la sapidità alla freschezza (forse impressionati dall’immagine dei vigneti a picco sul mare…) ed una nota un po’ slegata di calore, che non concede senso armonico alla musica d’insieme. Torna una sensazione di frutta nella retrolfattazione, ma è amarognola, non graditissima, tanto da rappresentare forse questo l’elemento più penalizzante. Da consumare freddo, perché la temperatura un po’ elevata ne accentua le caratteristiche disattese (…).

d.c.

Brolettino 2017. Cà dei Frati. Lugana doc

L’indiscusso faro, da sempre, della viticoltura in Lugana. Turbiana avanguardista! Il Brolettino guardava verso Nord Ovest, oltre le Alpi, quando gli altri (Lugana) o frizzavano di carbonica ovvero si ossidavano al solo pensiero… Cà dei Frati ha insegnato a quasi tutti i viticoltori morenici ( e non solo a loro…) l’utilizzo del legno anche nei bianchi, anticipando (anzi forse anche condizionando) il gusto dei consumatori. E per cui “Il Brolettino” ha sempre rappresentato la milestone di riferimento, gli economisti lo definirebbero il benchmark. Ma nel tempo la matrice stilistica è cambiata; la mia memoria può testimoniare almeno 4 o 5 cambi di stile: dal sentore di legno volontariamente invasivo, alla rotondità di frutta quasi surmatura, fino all’esaltazione della struttura tra acidità e sapidità corrosiva. Credo che con il 2017 siamo di fronte ad un nuovo sorprendente cambio di stile: il naso è avvolto in un effluvio intensissimo di frutta dolce, matura, su cui spicca con decisione il frutto della passione. Quanta veemenza poi in bocca, con una acidità violenta, ma calibrata, segno che il pittore voleva proprio dipingere così il suo capolavoro! Prima la freschezza acida, poi la rotondità alcolica che rende suadente la beva e che richiama la dolcezza dei frutti assaporati con il naso. Ed infine, dopo lunga battaglia tra le papille ecco che si scorge il profilo del marchio di fabbrica: una sapidità che entra in punta di piedi ma che progressivamente diviene coprente e che diventa sostanza ed al contempo persistenza, senza fine.

Non è forse amore questo?

d.c.

Kettmeir – effervescenza altoaltesina

Lago di Caldaro, il 50% della vinificazione dell’Alto Adige (di cui si ha traccia già prima del 2000 A.C.) si concentra sui pendii adiacenti al collinare bacino d’acqua. Sono 37 le cantine dedite alla ricerca della qualità. Schiava, Traminer, Pinot Nero, Chardonnay e Lagrein sono solo alcuni dei vitigni autoctoni e non, che hanno reso famosa la produzione di questa zona ormai da anni collocatasi, con merito, nel panorama vitivinicolo italiano di maggior pregio.
Ma le bolle?
Il vicinissimo Trentino è storicamente maestro nella produzione del metodo classico di elevatissimo standing, con milioni di bottiglie prodotte, al pari delle altre zone più vocate al perlage. Ma la spumantizzazione in Alto Adige si limita a circa 300 mila unità all’anno!! Rarissime.
La mente corre inevitabilmente al ricordo di Sebastian Stocker, ma ne parleremo in altra occasione…
Innamorati delle bollicine, decidiamo di visitare la cantina Kettmeir fondata nel 1919 (festeggia giusto i 100 anni), oggi punto di riferimento e premiata realtà dell’effervescenza altoaltesina con circa 100 mila bottiglie di bolle all’anno.
Ci riceve Luca, che ci invita ad ammirare il paesaggio di fronte alla cantina. Lo sguardo si immerge nei vigneti, tra masi e campanili: per lo più piccoli terrazzamenti che si differenziano per pendenza, orientamento dei filari e tipologie di viti. Oltre 40 fidati conferitori forniscono le uve, esclusivamente raccolte a mano, alla cantina che su un totale di quasi 55 ettari produce circa 380 mila bottiglie l’anno. In oltre 30 anni l’enologo Joseph Romen ha affinato la produzione individuando la miglior tipologia di uva per ciascun terreno. La cantina produce oggi tre linee: Classici, Grandi Selezioni e Metodo Classico.
Una curiosità già riscontrata in altre realtà locali: sotto il porticato della cantina ci sono alcuni anziani del paese che godono di una bottiglia in allegra compagnia a testimonianza del forte legame tra i produttori e il tessuto sociale che li circonda.
Ma entriamo nell’edificio del 1934, data in cui il fondatore Giuseppe Kettmeir decise di trasferire la produzione nel cuore dei vigneti di Caldaro. Dall’aspetto esterno importante e raffinato, all’interno la storica cantina scavata nella collina si presenta ben organizzata e a misura d’uomo. Passiamo dalla zona di vinificazione alla sala di affinamento del metodo classico per poi scendere tra le barrique in cui riposano i vini più strutturati.
E’ giunto il momento di accomodarci nell’elegante wine shop dove Serena, addetta alle vendite, affianca Luca e così, chiacchierando di vino e non solo, ha inizio la degustazione. Partiamo ovviamente dalle bollicine. Grande Cuvée Brut: pionieristica spumantizzazione dal 1964, ottenuto con metodo charmat lungo. Pinot Bianco in purezza si eleva in autoclave per circa 9 mesi restituendo note fruttate e soprattutto cristallina, inebriante freschezza.
E’ il 1992 quando la cantina inizia la produzione del metodo classico, assaggiamo l’Athesis Brut Pinot Bianco 30%, Chardonnay 60% e Pinot Nero 10% affinati 24 mesi sui lieviti. Ritroviamo la sensazione di freschezza già riscontrata nello charmat. Il Pinot Bianco, raramente presente nel metodo classico, dona una beva eccezionale pur lasciando trasparire note di croccantezza. Finissimo il brillante perlage, si percepiscono sentori floreali poi polpa bianca e richiami di panificazione a cui segue una gradevole sensazione di mandorla. Sorso invitante. Ci conquista.
Il calice ora si tinge dell’elegante rosa etereo del Athesis Brut Rosé in produzione dall’anno 2000. Classico blend di Pinot Nero 60% e Chardonnay 40% sui lieviti per almeno 22 mesi. La delicatezza del colore si ritrova al naso: sentori di ribes, pompelmo rosa e note di lampone piacevolmente accompagnati dalla fragranza del lievito. Al palato morbida cremosità con sentori di piccoli frutti a bacca rossa e sensazioni agrumate. E’ un vero piacere sorseggiarlo.
Proseguiamo con il 1919 Riserva Extra Brut dal 2011 perla della produzione degli spumanti Kettmeir. Stesse proporzioni del rosé ma parte dello Chardonnay viene affinata in barrique, poi 60 mesi di presa di spuma in bottiglia. Proviamo il millesimo 2013. Accattivante il riflesso dorato nel finissimo e persistente perlage, naso complesso mela, agrumi e frutta tropicale poi effluvi di piccola pasticceria e spezie. Al sorso ricca mousse di appagante eleganza aromatica. Persistenza prolungata di gradevole sapidità. Chapeau!
Abbiamo terminato gli assaggi delle bollicine delle dolomiti, le accomuna la “brezza di montagna”: una ricercata freschezza da cui ne deriva, anche per i vini più complessi, una eccezionale e vivace bevibilità.
Il discorso si sposta sul Lugana! Nel wine shop infatti sono presenti le bottiglie della Cantina CàMaiol insieme a quelle delle altre cantine del Gruppo Vinicolo Santa Margherita di cui Kettmeir è entrato a far parte dal 1986. Deviamo il nostro percorso gustativo assaggiando qualche Lugana, ma avremo occasione di riparlarne.
Ritorniamo all’Alto Adige, assaporando alcuni vini della linea Classica espressioni varietali del terreno, in particolare il Gewürztraminer mi ha stupito per l’elegante sapidità spesso difficile da riscontrare nell’aromatico vitigno: davvero buono.
Avanti con le Grandi Selezioni. Dalle migliori uve di singoli Cru rappresentano la massima espressione del terroir. Rinunciando ad altre primizie, mi dedico ai miei amori giovanili di questa zona: Chardonnay e Pinot Nero. E allora Chardonnay Vigna Maso Reiner annata 2017, i circa 11 mesi in rovere francese restituiscono un intenso, luminoso giallo dorato. Al naso grande complessità, sensazioni di banana e ananas maturi poi mela cotta e miele con chiusura speziata di vaniglia e un pizzico di cannella. In bocca è pieno, morbido chiude con fine sapidità minerale. Che bello!
Avanti, Pinot Nero Vigna Maso Reiner annata 2016, circa 15 mesi in grandi fusti di legno. Rubino luminoso. Tabacco e pepe nero su un letto di frutti di bosco maturi con accenni di eucalipto e vaniglia. Deciso e affilato in bocca. Si percepisce l’eleganza che ti aspetti da un Pinot Nero, anche se forse merita qualche anno di affinamento per trovare la piena armonia.
La nostra degustazione volge al termine, chiudiamo con il Moscato Rosa Athesis del 2015 dall’unica vigna, pochi filari, di proprietà posta appena fuori dalla cantina. Vendemmia tardiva e appassimento, poi per pochi mesi in legno di secondo o terzo passaggio. Mito dell’Alto Adige il moscato rosa (Rosenmuskateller), di cui ci sono solo pochissimi appezzamenti, pare prenda il suo nome dal particolare profumo di rosa che si sprigiona dal bicchiere. Rosso rubino con lucenti riflessi aranciati. Ammaliante il bouquet al naso: petali di rose, frutti di bosco a cui seguono cannella e chiodi di garofano. Dolce, supportato da ottima acidità. Persistente e lunghissimo, profondo come un tramonto.
Bellissima esperienza, produzione che ben rappresenta l’elegante panorama vitivinicolo altoaltesino.
Un ringraziamento a Serena e Luca per l’accoglienza e la disponibilità. È stato un piacere, spero reciproco, lo scambio di esperienze e opinioni.

R.R.

L’altra faccia dell’Etna – Frank Cornelissen puro Magma

Io so di non sapere… vinum docet.
Sul nostro cammino abbiamo avuto la fortuna di incontrare produttori votati alla ricerca dell’eccellenza, magari lontani dagli schemi, al limite delle logiche convenzionali, ma che sanno trasmettere al loro vino tutta l’intensità e la passione del proprio lavoro.
La mente torna inevitabilmente a Didier Dagueneau. L’ho citato a Giacomo, la nostra guida, durante la visita alla cantina protagonista di questo post. Sì perché, per quanto le metodologie di coltivazione e le tecniche di vinificazione possano essere diverse, credo accomuni questi due produttori l’obiettivo di esaltare il territorio e l’identità varietale dei propri vini esprimendo così la quintessenza del frutto sia esso Sauvignon Blanc o Nerello Mascalese. Per entrambi, ne sono un gaudente testimone, i risultati sono superlativi, estasianti.

Siamo a Passopisciaro, vallata nord del vulcano. Qui ha sede la piccola cantina di Frank Cornelissen, pioniere della rinascita della vinificazione sull’Etna.
Non ha certo bisogno di presentazioni, ormai punto di riferimento per gli amanti del Nerello Mascalese; Frank, di origine Belga, proviene da una famiglia di viaggiatori e collezionisti di pregiate bottiglie. Profondo conoscitore del vino, amante dei grandi francesi, giunge in Sicilia alle pendici del cratere nel 2000, nella convinzione di trovare un suolo schietto che possa esprimere al meglio la sua idea di vinificazione, tutta ancora da sperimentare, consacrata al naturale, diretta ad esaltare le doti del terroir, senza alcuna manipolazione. Trova qui una zona dall’altissimo potenziale dove la viticoltura è circoscritta a pochi, piccoli, produttori locali.
Come cambiano le cose in meno di 20 anni!!
Ma torniamo alla nostra visita, ho già nominato il nostro accompagnatore Giacomo, giovane toscano da alcuni anni fidato collaboratore di Frank, che ha saputo trasmetterci la filosofia del produttore raccontandoci anche singolari aneddoti in parte qui menzionati.
Saliamo sulla sua macchina, il nostro percorso inizia dalla visita in vigna, la produzione dell’azienda avviene su un totale di circa 24 ettari ubicati in 19 appezzamenti, per lo più contrade di vigne vecchie (non tutte di proprietà) site su terrazzamenti della vallata nord dell’Etna tra i 600 e i 1000 metri s.l.m., oggi considerata il “non plus ultra” per la produzione dei vini rossi della zona….. e non solo.
La nostra guida sceglie, con nostra sorpresa e gioia, il vigneto di Contrada Barbabecchi da cui proviene l’ormai leggendario ‘Grand Vin’ Magma, top di gamma della cantina. Ci addentriamo nel piccolo terrazzamento (circa 1,5 ettari), un luogo incantato dal panorama mozzafiato che spazia su tutta la vallata. Questo è il primo terreno lavorato al suo arrivo da Frank: pare abbia venduto la sua auto per poter iniziare. Vecchie vigne ad alberello con più di 100 anni e a piede franco (come per altre contrade), ereditate dai precedenti proprietari poste a 800-900 metri di altitudine. I grappoli vengono accuditi meticolosamente ad uno a uno, la raccolta tra la metà di ottobre e di novembre dà vita alla limitatissima produzione pari a poco più di 1500 bottiglie del Magma, ovviamente solo se la bontà dell’annata lo consente.
Rientriamo a Passopisciaro, ci addentriamo nella piccolissima cantina non di proprietà: Frank non ha ancora deciso se sarà la location definitiva. Se in vigna i trattamenti sono rari (in parte grazie all’abbondante aereazione della vallata), qui in cantina sono aboliti; anche per tale motivo non vi è affinamento in legno, che obbligherebbe all’uso di solfiti e che, comunque, influenzerebbe le virtù varietali del prodotto.
Il vino pertanto, dopo l’accurata pressatura, viene fatto decantare in contenitori neutri di vetroceramica in attesa dell’imbottigliamento. Anche i vini più pregiati, destinati all’invecchiamento, vengono affinati in contenitori, seppur di minori dimensioni, dello stesso materiale che hanno quasi completamente sostituito le affascinati anfore di terracotta vetrificate e completamente sotterrate nella cantina di roccia vulcanica. Questa scelta, ci viene spiegato, è dovuta alle ridotte dimensioni delle anfore: Frank vuole che ogni cru si elevi in un unico contenitore.
Ma proseguiamo: Giacomo ci assegna i calici, è ora di iniziare la degustazione. Devo ammettere che l’emozione è tanta!
Partiamo dai cosiddetti vini di base, magari tutti li facessero così! Pur esprimendo le peculiarità dell’anima dell’azienda, consentono alla cantina di avere una produzione numericamente interessante (pari a circa 100 mila bottiglie l’anno) e danno la possibilità di assaporare la filosofia di Frank con un buon rapporto qualità prezzo. I vini sono comunque difficili da reperire, vanno a ruba!
Ma immergiamoci nel nettare. Susucaru: questo è l’autoctono appellativo di una linea di produzione, rosato e rosso (ex “Contadino”). Frank, alle prime armi sull’Etna si ritrovò in un vigneto, da lui lavorato, in cui l’uva, ormai matura, ad un tratto era sparita. Chiedendo spiegazioni gli risposero appunto “su sucaru” (elegantemente tradotto: se lo presero!). Da qui nasce il nome di questo vino. Mi ha colpito il Susucaru Rosato 2018: Malvasia, Moscadella, Cattaratto, Nerello Mascalese. Già il colore ammalia, rosa intenso in cui occhieggia il lampone. Croccanti frutti rossi, mirtilli ben supportati da intensa, fresca mineralità. Il gusto è puro, piacevolmente rustico sembra di bere un rosso leggero, spontaneo, rinfrescante e delicato. Beva eccezionale!
Passiamo ora al MunJebel Rosso Classico 2017 (altro evocativo nome composto che rimanda al termine montagna in siculo e in arabo) forse il più classico dei Nerello Mascalese della cantina (blend di differenti vitigni tra cui alcuni di quelli che danno origine ai cru). Rosso rubino, polpa di frutti rossi maturi. Al sorso fresca struttura ed eleganza. Temo crei dipendenza!
Gli assaggi proseguono chiacchierando della viticoltura sull’Etna; ogni tanto compare in cantina Frank sempre indaffarato nel suo lavoro.
Passiamo ora ai cru: espressione di singola vigna che evidenziano le differenze e le peculiarità delle contrade sparse nella vallata.
Ci avviciniamo ai piccoli contenitori di vetroceramica da cui assaggiamo in primeur alcuni Cru di MunJebel, dell’annata 2017 quasi pronti all’imbottigliamento. Caratterizzati da bassissima resa e raccolti solo a piena maturazione, rappresentano la massima definizione espressiva della filosofia della cantina della “Muntagna” (così chiamano i locali l’Etna) e del Nerello Mascalese, escludendo ovviamente il Magma.
MunJebel Rosso FM contrada Feudo di Mezzo, alla vista succo di ciliegia concentrato. “Urca” è l’espressione unanime che ci esce appena avviciniamo il naso al bicchiere. Verticale, definito, elegante: polpa di mora poi cioccolato, liquerizia e nota di eucalipto. Il sorso è coinvolgente, morbido e fresco. Lungo finale fruttato. Tanta, tanta roba!
MunJebel Rosso VA, cuvée Vigne Alte, blend di tre vigne da alti terrazzamenti: Tartaraci, Monte Dolce, Pettinociarelle posti a 870 – 1000 metri s.l.m. con oltre 90 anni di età e a piede franco. Rosso rubino; al naso…Borgogna! E’ solo aprendo gli occhi che si torna alla realtà. Profonda e affilata eleganza, note floreali e frutti rossi poi erbe aromatiche e balsamico. Sorso caldo, pieno, ben supportato da freschezza. Lunga persistenza minerale. Monumentale!
Sono inebriato, ho la prova delle potenzialità del Nerello Mascalese che, nel nord dell’Etna, può arrivare a rivelare vette di eleganza pari alle più blasonate zone di produzione mondiale. Attendiamo l’espressione dei lunghi invecchiamenti.
Sarebbe magnifico poter chiudere con un assaggio del Magma, ma del resto non potevamo chiedere di più all’entusiasmante percorso fatto.
Grazie ancora a Giacomo per il tempo, l’ospitalità e la passione trasmessaci.
Un grazie soprattutto a Frank per le “vulcaniche” emozioni che il suo vino sa sprigionare.

R.R.