Umile, ma pulito, sincero, piacevolissimo. E’ una bottiglia da “tutti i giorni”, verdognolo alla vista, un po’ erbaceo al naso, ma poi arriva anche una nota agrumata, bello fresco al palato e sulla lingua, per spazzare via i malumori della giornata.
Ero estremamente curioso: uve dal Collio, mano enologa trentina (cantina integrata in una location da sogno…). Chardonnay e Pinot Nero. Mmmmmmhmmm…. mi aspettavo qualcosa di più! O perlomeno mi attendevo una nota di distinzione dagli oceani “petillant” di metodi classici che hanno alluvionato l’Italica penisola. Vino corretto, persino un poco ambizioso, ma privo del carattere distintivo che attendevo. Da rivedere.
L’intensità e la grassezza di questo Sauvignon comincia ad apparire già alla vista, con un giallo solare intenso e con una viscosità pastosa. Il naso è erbaceo, con un frutto a polpa gialla maturo che appare solo in coda. In bocca è caldissimo, avendo già ceduto sulle durezze. Molto morbido, rotondo. Arrivato a destinazione, ma non so se riesce oltre.
Vabbé… mi tocca ammettere che, nonostante sia un Satén, e che io … (per nulla i Satén…) questo Satén Biodinamico di Cavalleri è strepitoso, uno di quei vini per i quali potrei perdere la testa, e berne senza soluzione di continuità: è vino maturo, ma è un vino che racconta tante storie e la sapienza di una cantina che sa da sempre coltivare gioielli. E’ complesso, ma ammalia con storie di frutti maturi, di erbe aromatiche, di gesso e di freschezze rigeneranti. Un diamante brillantissimo.
Bellissimo esemplare di Extra Brut, di alta nobiltà senza essere costretti alla vendita di un organo, come ahinoi è sempre più sovente in Franciacorta. Molto incisivo al naso, dove già annuncia la sua affilatura. Pungente sulla lingua, pulito, molto preciso: tutti aggettivi metaforici per dire che è buono, anzi buonissimo.
Quando al tavolo del ristorante hai Tito, stai sicuro che cercherà di proporti un Sauvignon, e tra questi, sicuramente, un Sauvignon proveniente da Trentino o Alto Adige. E così… anche questa volta. Molto tenue sia sugli aspetti visivi, che nei profumi, dolomiticamente impostati sulle note del bosso. In bocca invece accelera con grande freschezza ed una rotondità, apparentemente alcolica, che riempie.
È probabilmente uno dei miei vini “del cuore”: ancora per me impossibile rinunciarvi quando lo trovo in carta. È l’espressione più sincera del Prugnolo Gentile, da sempre un faro di riferimento, soprattutto per una denominazione che qualche problematica “identitaria” l’ha sofferta (e le soffre…).
Succoso, avvolgente, morbido ma di distinta struttura e di freschezza incisiva. Costante nel tempo, direi riconoscibile nello stile e nella sua confermata matrice tradizionalista: questo è il Rosso da ciccia…
Molto interessante. Siamo in zona nobile, dove pare che tutti, ma proprio tutti sappiano spumantizzare miracoli… Questo non è un miracolo, ma è molto interessante: affiora il frutto giallo maturo dello Chardonnay, ma sono le durezze a comandare la beva ed a renderla gaudente. Intenso all’entrata in bocca, ma molto resistente nella sua persistenza.
Prima o poi aprirò una nuova rubrica intitolata “Recherche”, di proustiana memoria, per raccontare l’affannosa esplorazione del nostro Editore.
Siamo in zona nota, nel cuore della Marna, tanto per intenderci ad una quindicina di chilometri a sud-ovest di Reims, zona che peraltro si sta tornando a dedicare al mio amato Pinot Meunier. RM, millesimato, ma stranamente senza indicazione di classificazione di cru. Qui di Meunier non ce n’è, anche se la mia sensazione e di farlo tendere alla tipica albicocca del “mugnaio”… sarò un po’ condizionato, ma non incide, o perlomeno non tocca le mie corde. Indubbiamente ben fatto, sopra la soglia di molti spumanti italiani, che oggi sono capaci di costare ben di più, ma… monotono, troppo facile per essere Champagne!
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