La congrega dei ciciarù

In un mondo, quello del vino, oramai dominato da wine searchers, wine bloggers, wine lovers, wine victims era arrivato il momento giusto perché i 3 wine foolishes di questo blog si incontrassero finalmente attorno ad un tavolo per fare ciò che non necessariamente venga loro meglio, ma sicuramente tra i loro maggiori godimenti: chiacchierare di vino…
Chiacchierare… Trascorrere qualche ora a chiacchierare e stappare senza soluzione di continuità bottiglie su bottiglie.

È un po’ che siamo concentrati sulle bollicine e quella sera una grande bolla ha saturato il nostro cervello.

Ingeneroso il confronto tra il delicato Franciacorta Nature 2010 di Ronco Calino, che già non aveva completamente convinto il mio gusto ma che qui non ha sfoggiato il ritorno amarognolo della prima volta (segno questo che dobbiamo attendere…), e l’imperioso Cuvèe des Grands Vintages, Champagne della maison Eric Rodez: oro nel bicchiere, prezioso e raro all’olfatto ed al palato, con affascinanti pennellate di agrumi (su tutti un distinto bergamotto), infinito nella sua persistenza. Poi un passaggio su un commerciale Pommery, di grande carica “spumosa” con una effervescenza esuberante, ma di struttura non troppo lontana dal leggero Franciacorta. Poi la follia di un Metodo Classico di Cannonau: cosa ti scova sempre l’inquieto Paolone nelle terre della Gallura. Nota ramata alla vista di un vino dalle caratteristiche di fine e sorprendente perlage. Struttura rapida e leggera in bocca, con una nota di vinosità un po’ invasiva; troppo rapido a scappare via. Perché follia? Per un prezzo da Grand Cru! Non contenti (all’approssimarsi del cambio di data) attentiamo alle virtù di un altro Champagne: un Millésime 2010 Cuvèe Prestige (etichetta nera: ricordate che nella tradizione l’etichetta nera è destinata al prodotto di punta della maison?) da Hautvillers. JM Gobillard er Fils. 60% Pinot nero 40% Chardonnay. Forse un po’ fuori temperatura, forse giunto un po’ troppo tardi, ma il nostro è scappato via, senza impressionare gli astanti: naso delicato ma troppo leggero e mai complesso, delicatezza ribadita in bocca, ma anche qui troppo sfuggevole per un ricordo degno. Credo invero indelicato e fuorviante il richiamo in etichetta al “Moine Dom Perignon”. E poi…. Bonne nuit!

d.c.

Tuffi in Trebbia

Un caldo pomeriggio lavorativo piacentino; la volontà di distrarsi con due amici andando a fare, come dei ragazzini, i tuffi nel fiume. E poi incontri amici di vecchia data, gente che non hai mai conosciuto ma che dopo poche parole capisci di avere molte cose in comune ed una serata da condividere: pochi bicchieri della divina bevanda per scoprire che il vero fiume siamo noi… Con 40 oppure 50 od addirittura 70 anni da raccontare in un effluvio senza fine. Che importano le note organolettiche di fronte ad un ricordo così bello oramai impresso nella nostra memoria? imagePoco importa se Grand cru or seulment Premier, vi assicuro assolutamente i migliori!
I primi tre sinceramente semplici, corretti, uno di questi anche banale. Poi, già carichi, il mitico Pinot menieur in purezza di Egly Ouriet “Les Vignes de Vrigny” Premier Cru, riconoscibile per la sua “rusticità”, ma anche per la sua naturale purezza, tra mille. È un vino che amo moltissimo proprio per la sua originalità tutta incarnata nel solco della tradizione: dopo esclusivi Chardonnay e Pinot noir, tutti Grand cru e dal prezzo paragonabile ad un gioiello evviva evviva l’umile, ma generoso, Pinot “mugnaio” tanto bistrattato, ma tanto buono e ruspante (come dopo tutto siamo noi…) nonché no so expensive. (Nota tecnica “passage en cave” 46 mesi; degorgement Maggio 2013).
Chiusura con un altro Champagne della tradizione: il Cramant per antonomasia, Blanc de Blancs Grand Cru Lilbert-Fils. Anche questa, come mia abitudine, era una bottiglia dimenticata in cantina: alla classica struttura acida si affianca un frutto dolcissimo, riportando a memoria l’idea che mi sono fatto degli Champagnes delle origini: in bocca una leggera nota ossidativa trasforma questa dolcezza finissima in miele, corroborando le mie convinzioni…

d.c.

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Ho un debole per il Pinot grigio.

In un blog dall’evidente carattere confidenziale, se mai qualcuno un giorno volesse chiedermi “ma razza di ubriacone (la confidenza é confidenza…) qual’é fra tutti il tuo vitigno preferito?” non avrei dubbi nell’affermare: Pinot Grigio! Ci provano un po’ tutti, ma non viene bene ovunque. Dallo stesso si producono vini semplici oppure dalla complessità inestricabile… Ma mai banali. Preferisce climi freschi da clima continentale, ma ne ho bevuti da sbarellare pur essendo in mezzo al Mediterraneo. Puoi dimenticare tranquillamente la bottiglia in cantina, ma non ti dimenticherai del giorno in cui la aprirai, perchè ne rimarrai sempre sorpreso. Tra tutti naturalmente la mia preferenza a quelli che provengono dalla striscia alsaziana (la’ sì che se ne intendono… Rappresentando uno dei soli quattro vitigni da Grand Cru), ed in Italia , per me, i più bravi sono i friulani.

Cantina celeberrima (Lis Neris), vendemmia 2013. Vinificazione libera, concedendo all’enologo di divertirsi all’ interno del regolamento della I.g.t. Olfatto complesso, profondissimo tra note di agrumi, litchi ma anche erbe aromatiche, e che dimostra tutta la sua gioventù non avendo assorbito ancora il legno della maturazione. Al gusto rotondo e sapido, su una buona struttura di acidità: lunghissimo in persistenza. Facilmente acquistabile a meno di 18 eur.

 

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Ma perché si leggono solo le prime due pagine delle “carte dei vini”?

Metti una cena in una famosa “Pescheria” bresciana, e nell’entrare in sala guarda a destra ed a manca la tipologia di bottiglie servite: bollicine, spumanti e champagne.  Una distesa di secchielli ed un proliferare di botti, come se fosse S.Silvestro. È vero che con il pesce la bolla è sempre indicata, ma è anche vero che le stesse rappresentano le prime due pagine delle astute carte dei vini, e normalmente il consumatore si perde già lì.

Pagina 5 o 6 (beh…nonostante il locale sia molto commerciale la carta sa anche essere non banale) un Sancerre 2015. Vino molto giovane, atteso di leggera struttura con predominanza del frutto sulla ricercata mineralità. Ed invece, dopo una prima fase, fuori temperatura, dominato dai caratteri varietali del Sauvignon Blanc, un vino si leggero ma di grande piacevolezza. Aromi ancora un po’ verdi, ma stillati di pennellate agrumate ed erbe speziate. Sostenuto da una sapidità non invadente che si abbraccia ad un buon tenore dì freschezza. Il tutto in carta a 24 eur (quindi 12/15 eur all’acquisto): alla faccia di Franciacorta (che banalità…) offerti (e massicciamente venduti) a più di 30 eur (per non parlare del resto), e dall’abbinamento meno intrigante…

 

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Tour de France? Ho incontrato la maglia gialla!

Vi racconto di una maison di Oger, Chapuy, di cui non conosco nulla, ma della quale ho avuto la fortuna di incontrare due vini diversi in un intervallo di pochi giorni.

Prima la sorpresa di un Blanc de Blancs “base” nonostante l’utilizzo di uve di chardonnay provenienti esclusivamente da vigneti Grand Cru. Semplice, di pulita eleganza,  frangrante e floreale, freschissimo al palato, godibilissimo soprattutto al portafoglio! Arrivato in Italia, dopo apposita spedizione, con 19 eur… Raro trovare qui analoghi prodotti allo stesso prezzo!

E poi qualche giorno fa una vera meraviglia… Ahimè esclusivo per quei pochi fortunati destinatari delle 2.000 bottiglie prodotte: un millesimo ed una evoluzione,  forse, del prodotto precedente. Produzione solo per un anniversario? Sempre da uve chardonnay, vendemmia 2008,  sboccatura 2012. Tagliente, freschissimo, una nota citrina al naso e soprattutto al palato. Elegantissimo e soprattutto di persistenza infinita. Raro come la perfezione…

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Conferme e sorprese

Nel continuare a perseguire la d’annata (o dannata?) via di provare ed assaggiare e stappare… Mi sono imbattuto in due Syrah italici, allevati e prodotti in due regioni diversissime.

il primo è il noto Tellus della cantina Falesco, nato dalle abili mani dei Cottarella in terra laziale: alla mia tavola il 2012 (14% volume alcolico), probabilmente anche questo “soffiato” dalle disponibilità di Paolone.  E cosa trovi nel bicchiere? Esattamente quello che ti aspetti da uno Syrah: calore, decisa speziatura  all’olfatto, fino ad arrivare al pepe, note gustative di cacao e cuoio. Equilibrato in tutti suoi aspetti. Però impegnativo! Quella elevata componente alcolica ne consiglia (ed impone) un consumo moderato (e non sto facendo della morale da codice della strada…).

Poi, ieri, una piacevolissima sorpresa; un vino che non avevo mai incontrato nelle mie soventi stappature. Un Syrah (2014 e 13,5% vol.) della Valle d’Aosta, prodotto dalla mitica cantina di Les Cretes, che alleva vigneti su pendii in altura al diretto orizzonte  di sua maestà il Monte Bianco.

Le caratteristiche tipiche dell’uva ci sono (la base speziata ci accompagna all’olfatto ed in bocca), ma prevalgono note fresche e dolci di frutta rossa croccante ben amalgamate al solito, ma non per questo non piacevole, cacao , qui più dolce delle attese. Il tutto su una ferrea struttura di freschezza che ne agevola la beva, nonostante anche qui il generoso apporto alcolico. Il giudizio porta ad una valutazione di  piacevolezza esaltante, con una bottiglia pagata al ristoratore poco più di 20 eur.

d.c.

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Tour de France? Allora io comincio a pedalare…

Chi mi conosce sa che sono oramai anni che nascondo il mio atteggiamento agnostico dietro l’affermazione che lo Champagne è prova di esistenza divina…e nella grande attesa del ritorno del fortunato amico viaggiatore, non sono riuscito a trattenermi!

Siamo nella Marna, a Bouzy, comunque non lontano dalla magica Epernay. Un Blanc  de noir dal profilo strepitoso (senza dover ipotecare casa). Bello fin dalla bottiglia: è il “fine fluer  de BOUZY” Grand Cru, elaborato dal nobile Hubert Dauvergne. Signori… Inutile qui la degustazione… Qui parliamo di metafisica!

d.c.

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Ma siamo così sicuri di essere poi tanto bravi?

Qualche anno fa ebbi la fortuna di partecipare ad un panel di degustazione di vini spumanti metodo classico prodotti nel Regno Unito: ricordo campioni strepitosi, ma … too expensive… Ho spesso bevuto piacevolissimi Cremant d’Alsace (metodo classico) a meno di 10 euro a bottiglia. Oggi non è difficile imbattersi in Champagne di quasi nobile levatura intorno ai 20 euro.

Paolone, sempre lui, qualche anno fa mi omaggiò, nel suo vagare senza meta, di una strana bottiglia austriaca “Methode traditionelle” extra troken da uve di Grüner Veltliner. Da questa uva avevo già provato freschi e sbarazzini vini fermi, ma mai “bollicine”. Bottiglia destinata alla sorte comune a tutte quelle che entrano nella mia cantina e… rispuntata ieri sera, dopo almeno 3 anni di accatastamento.

L’etichetta denuncia un volume alcolico di 11,5 %, abbastanza anomalo nelle produzioni moderne. Vino semplice ma ben equilibrato: olfatto senza una complessità da capogiro ma piacevolmente impostato su note di frutta fresca a polpa gialla, nessuna nota ossidativa. Anche in bocca la dolcezza di un frutto estivo, ma innestato su una solida base di freschezza, pungente ma mai eccessiva. La voglia, allo svuotamento del bevante, di riempirlo… L’impressione, al di là della indubbia qualità produttiva, di un prodotto poi non così economicamente inabbordabile. Ampiamente superiore per qualità ad un Prosecco (che metodo classico non è, ma che prova, con una certa insistenza ad alzare i prezzi) ma anche di molti Franciacorta di media gamma, che oggi puntano ai 16/18 eur (non in enoteca). Insomma Paolone… svelaci l’arcano: quale il costo?

d.c.

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È stato il vino dei padri a farci rincontrare.

imageNon ho mai fatto mistero che fu il Gattinara di Travaglini, per il tramite di una qualche vendemmia antica, ha palesarmi la mia inguaribile nebbiolo dipendenza: non l’austero Barolo o l’elegante Barbaresco, che pur amo visceralmente, e nemmeno l’eroico valtellinese, che mi commuove tutte le volte al suo assaggio, bensì il fresco, ed a volte un po’ rustico vino che viene dal piccolo Comune su cui cala l’ombra dell’imponente Monte Rosa. Che cosa mi ha mai dato di più? Credo in realtà nulla, se non una, appunto, antica emozione intellettuale e contadina.

Ed incredibilmente ieri la degustazione di ben 7 diversi “nebbioli” di Travaglini organizzata dalla delegazione Ais di Brescia, mi ha concesso una ulteriore nuova emozione legata al reincontro conviviale con vecchie amicizie che da tempo non vedevo, ed a cui sono legato da genuino affetto.

Ed il vino? Managgia!!!!! Mi ha proprio deluso. Non ho ahimè ritrovato quella vibrante emozione che faceva scuotere le mie corde…Segno del mio precoce invecchiamento? Abitudine alla beva di qualità? Stanchezza? Le tengo valide tutte, ma la mia nebbiolo dipendenza ha avuto ieri sera un cedimento. Intendiamoci: tutti i vini, compreso il nebbiolo “base”, erano più che corretti se non addirittura di pregevole fattura, ma tutti privi di quel daimon che ricerco con ansia nel “campione”. Anzi mi sono ritrovato con un dubbio in più (di facile lettura): i vini con 5/6 anni di invecchiamento sono apparsi assolutamente più evoluti, con sviluppate note terziarie, rispetto alle riserve di oltre 10 anni (al palato assolutamente giovanili e fresche); capisco il mercato e la necessità di liberare le cantine, ma dov’è finita la poesia di stappare un nebbiolo di numerosi lustri (che poi sono quelli che piacciono a me)?

A mio profano giudizio: notevole il Gattinara riserva 2010, punto interrogativo per le tanto blasonate riserve 2006 e 2005 (evolveranno bene o rimarranno delle eterne gioventù incompiute, decadendo immediatamente con la futura ossidazione?). Deludente (anche un bel po’) “Il Sogno” 2010: un po’ Sfursat ed un po’ Amarone ma senza carattere e convinzione della propria identità.

d.c.