Effetto “effervescenze”

Non potevo che venire suggestionato dalla lettura di “Effervescenze”, di Massimo Zanichelli edito da Bietti. Al primo incontro con un Metodo Ancestrale oltrepadano mi ci sono subito avventurato.

WAI, Provincia di Pavia IGT, Bianco 2016. Tenuta Belvedere di Montecalvo Versiggia.

Vino frizzante da rifermentazione in bottiglia. Di fatto un Blanc de Noir, da uve di pinot nero. Tappo a corona, bella bottiglia “antica” dei ricordi (tanto per intenderci quella con cui mio nonno Bepi imbottigliava i bianchi travasandoli dalle damigiane gorgoglianti…). Un giallo carico, più che dorato, rossiccio. Una evidente velatura da feccia, in massima parte collassata sul fondo. Un’esuberanza di frutto al naso, una freschezza di polpa acerba, ma anche qualche nota fermentativa non propriamente gradevole. In bocca la forte percezione che la bulle seppur di estrema finezza ha minore carica esplosiva, ed è di minor supporto alla struttura acida, presente ma un po’ soverchiata dalla dolcezza del frutto e di tutto il liquido in generale. Piacevole per la novità, difficilmente abbinabile, comprendo il fascino della filosofia e della poesia che sta dietro a questi vini, ma non ancora in grado di emozionarmi. Forse non sono ancora pronto.

d.c.

La velatura non è solo appannamento del bicchiere…

La lettura attuale sul mio comodino.

Ne rimarrà solo uno.

Doppio cartone dalle alterne vicende, quello del Caseo Grande Cuvée Pas Dosè 2001: ma è stato in occasione della stappatura dell’ultima bottiglia del lotto la sorpresa più affascinante. Devo ammettere che non tutte le 12 bottiglie sono riuscite a valicare i limiti del tempo nello stesso modo: alcune di queste, progressivamente aperte nel tempo, erano segnate da decise marcature ossidative. Anche quest’ultima, sacrificata a ben 17 anni dalla vendemmia, mostrava una naturale vena ossidativa, ma la stessa donava note inaspettatamente conturbanti. Il colore di un indiscutibile giallo oro brillante. Olfatto di grande intensità: su tutte una esuberante nota di agrume candito. Al gusto ancora assolutamente tagliente, nessuna rotondità, nè grassezza alcolica. L’arancia ora qui è matura, ed il frutto è dolce, succoso. 17 anni dalla produzione!!! Almeno 14 dalla sboccatura! Monumentale.

d.c.

Millesimo

La retro con errore… applicata etichetta da grande formato, ma ahimè questa bottiglia era normale.

Panorama e… sempre sushi!

Ferrari Perlè 2011

E’ vero! Bevo e vivo la Franciacorta, ma non posso negare una predilezione per il Trento DOC, e su tutti la madre di tutte le maison della Valle d’Adige: Ferrari. Da sempre, per me, maestri assoluti di eleganza. E non è da meno questo Chardonnay del 2011, ma dalla sboccatura effettuata nel corrente anno. Eleganza olfattiva, con decisi profumi di fiori bianchi ed una mela verde leggermente acerba ed una conturbante speziatura. Imperiale eleganza al gusto: vibrante, secco, tagliente e di impressionante persistenza. Qui tornano note di mela questa volta miracolosamente maturata ed un tocco di mandorla da pasticceria. Peccato: troppo velocemente finito.

d.c.

Big Apple…

La fortuna di trovarsi qualche giorno nella Grande Mela ed essere ospiti all’Oyster Bar e Restaurant all’interno dell’immensa stazione di Grand Central. Cinque pagine cinque di selezione di diverse tipologie di ostriche (oltre 250 referenze…): la mia preferenza su strepitose Kumamoto dell’Oregon e Shigoku da Washington State. E poi una incredibile Soup…. una zuppa con vongole del Massachusetts di memorabile delicatezza. Ed il tutto abbinato a vino italiano: un Vermentino della bassa costa toscana (P.s. Nella carta dei vini appuntata in “Sardinia”… e potete immaginare gli strali verbali lanciati all’impreparato e presuntuoso sommelier). Ancora sufficientemente non integrato: da una parte una coriacea freschezza, pilastro della struttura dell’intera bevuta, dall’altra una lontana aromaticità ed una dolcezza di frutto che arrotonda ed ammorbidisce (in perfetto abbinamento con la dolcezza della zuppa).

Azienda agricola Terenzi in Montedonico ( a due passi da Scansano) Vermentino di Maremma Toscana doc BALBINO 2015… 40 USD (come un Prosecco…).

d.c.

E nonostante tutto continuerò a bere Franciacorta

Molti degustatori, gran Maestri, cominciano a divenire sempre più critici verso gli spumanti della Franciacorta, cogliendo, e non apprezzando particolarmente, le note di maturità indotte da stagioni estive sempre più bruciate da temperature mai provate. Anche io devo ammettere, che gran degustatore e maestro non sono, che molto spesso non comprendo a pieno nè il modello agricolo (qualora ancora ci fosse…) nè tantomeno “industriale” della gamma in produzione in Franciacorta (ma non tornerò su temi personali con il solo risultato del tedio…). Però ritengo che in Franciacorta oggi si beva ancora bene: un vino che probabilmente si è modificato nella sua evoluzione (non organolettica); che probabilmente non ha ancora trovato il modello perfetto commerciale (come se questo esistesse), rincorrendo il falso ed irraggiungibile miraggio di poter essere considerato un mercato alternativo alla bollicina francese (… ma quando mai!!!…); che potrebbe trovare nuovo slancio anche con l’introduzione di nuovi uvaggi ammessi, con una contribuzione non tanto migliorativa quanto di correzione di acidità (d’altra parte fra poco si vendemmierà a giugno!) facendola un po’ in barba alla tradizione (… ma cosa è una tradizione non ancora quarantenne? Al massimo alla seconda generazione di vignaioli, quand’anche la maggioranza dei produttori sia ancora alla prima…).

E quindi?…. e quindi vi racconto un fine settimana tipo di un normale residente franciacortino.

Venerdì ora di pranzo. Bisogna ridestare le papille, assopite da qualche ora di astinenza dal vino…

Nonostante la lontananza lavorativa, bere i vini di casa, e peraltro di amici, non è un problema. E per cui ottimo Dosaggio Zero di Muratori. Preciso e tagliente nonostante un calore alcoolico generoso. E’ uno dei miei vizi quotidiani preferiti.

Sabato a pranzo. Dell’ “Occ de Pernis” vi ho già raccontato, e per cui salto…

Sabato sera a cena con l’Editore. Cosa si berrà?

Attenzione! L’Editore vi scruta ed osserva… sempre!

Cavalleri Dosaggio Zero 2012: una delle mie cantine preferite. Simbolo costante nel tempo di qualità. Da tempo oramai convertita alla schiera dei Vignaioli Indipendenti.

Assoluti cultori della modica quantità, la nostra secchezza di fauci non poteva che portare a stappare ancora qualcosa d’altro…

Mosnel, naturalmente Pas Dosè (ve l’ho già detto che mi piacciono i Non Dosati? Mi sembra di si…). Il meno muscoloso nella serie di assaggi, ma dalle grandi doti di leggerezza e precisione,

Pranzo della domenica.

Beh ogni tanto prendersi una pausa di riflessione aiuta, una divagazione su bollicine diverse concede di fissare qualche termine di paragone, anche se i paragoni NON vanno fatti quando a tavola trovi una bolla francese…

Tranquilli, niente di stupefacente. Champagne commerciale da Maison di gran commercio… ma sempre meglio che bere Prosecco…

Da questo tipo di bollicina i nostri “eroi” non sono tanto lontani. Ed infatti la seguente bottiglia (aperta sempre nel rispetto della modica quantità) non ha affatto sfigurato: ancora Muratori con un Villa Crespia? Prometto: per un po’ non ne parlerò più (pur continuando a berne copiosamente…).

Ancora Dosaggio Zero! Ma quale Riserva… un 2006, con sboccatura 2013. Nessun elemento ossidativo nel bicchiere, anzi una integrità granitica, prova (già altrove sperimentata) che i Grandi Franciacorta, qualora ben conservati sono assolutamente immortali.

Lunedì a pranzo.

La vita è già abbastanza dura di suo, ed ad inizio settimana è ancora più dura: è quasi un obbligo rincorrere il tentativo di addolcirla. Non andando matto per i vino dolci… vai di Franciacorta!

Molto delicato, non impressionante in termini di struttura, persistenza fugace, ma ottimo in abbinamento con una pasta ai frutti di mare. Beh anche il lunedì finirà…

Martedì a pranzo.

La settimana è lanciata, il catalizzatore dei guai è in azione. Necessita boccata d’aria.

Evviva la Franciacorta, quando il Franciacorta è così buono! Ad una frutta fresca, croccante di pasta gialla si affianca una imperiosa acidità, trama portante di una struttura inscalfibile.

Avete ragione: settimana monotona e monotematica.

d.c.

Libera interpretazione celtica dell’ “occhio di pernice”

Ho cercato e ricercato nel web questo “Oeil de perdrix” padano che ho rintracciato nella mia cantina, ma non ne ho trovato orma nel web. Credo nascente dalla stessa ricetta di assemblaggio dell’attuale Rosè (ossia 70% Chardonnay e 30% Pinot Nero) di casa Facchetti in Erbusco . Lo sapete non sono un grande estimatore dei Saten di Franciacorta ed ancora di meno dei Rosè (… che razza di winesnob, direte correttamente Voi…), e tutto ciò è prova che non capisco un tubazzo! Perché questo “Occ de Pernis” è (sorprendentemente, ma la sorpresa è evidentemente solo per me) buonissimo! Veste una tipica buccia di cipolla tenue, molto delicatamente rosata. I profumi sono nitidi, netti, non intensissimi, ma gradevolmente fruttati. In bocca struttura e pulizia su tutto. Tagliente ed appagante. Dalla persistenza affascinante, lunghissimo abbandona il cavo orale lasciando un particolare ricordo di ribes rosso. Da ritrovare e riprovare!

d.c.

Riflessi di tramonto (e si riesce anche ad intuire l’azzeccato abbinamento ad un piatto di sushi).

Tocai, tocai… perchè sei tu tocai?

Guerra vinta o guerra persa? In termini di orgoglio nazionale senz’altro guerra persa, anche perchè dal punto di vista commerciale non credo ci sia mai stata una vera guerra, per l’impossibilità di confondere i due prodotti (il nostro Tocai ed il loro Tokaj). Dal punto di vista della caparbietà a mantenere alto l’onore e la qualità di un prodotto friulano di eccellenza, guerra assolutamente vinta! Anzi oso dire che siamo e saremo imbattibili.

Tipicamente inconfondibile perchè Tipicamente Friulano (utilizzando il motto lanciato qualche anno fa nella fase di difesa del vitigno): pugno di ferro nel guanto di velluto, il tocai (perchè io continuerò a chiamarlo così) rappresenta l’armonia degli eccessi. Combina un grado alcolico sempre generoso ad una acidità da corrosione; un’intensità di profumi da stordimento ad una complessità spesso inestricabile; una potenza e struttura da cazzotto nello stomaco, ad una finezza ammaliante che invoca ancora un bicchiere. Come possibile non amare un vino così, che come tutti gli amori difficili ti abbandona con un po’ di amaro(gnolo) in bocca.

Bevo Tocai da sempre. In alcune fasi storiche della mia vita ne ho bevuto con uso smodato, ma non conoscevo questo di Terre del Faet in Cormons, che non ha fatto altro che confermare le mie passioni.

d.c.

Oh Romeo Romeo perché sei tu Romeo!?

Rinnega tuo padre, rifiuta il tuo nome, o se non vuoi, giura che mi ami e non sarò più una Capuleti.

Solo il tuo nome è mio nemico: tu sei tu.

Che vuol dire “Montecchi”?

Non è una mano, né un piede, né un braccio, né un viso, nulla di ciò che forma un corpo. Prendi un altro nome.

Che cos’è un nome? Quella che chiamiamo “rosa” anche con un altro nome avrebbe il suo profumo.

 Rinuncia al tuo nome, Romeo, e per quel nome che non è parte di te, prendi me stessa.

William Shakespeare

Sottigliézza.

Fonte Treccani. Vocabolo “sottigliézza” s.f. (der. di sottile). – 1 Qualità di ciò che è sottile; in senso fig., leggerezza: la s.dell’aria di montagna; acutezza, finezza … 2 Con valore concr., osservazione, questione, argomentazione eccessivamente sottile, cavillosa e sofisticata… 

Ecco la percezione principale associabile al nebbiolo valtellinese di Rainoldi (Valtellina Superiore DOCG Inferno 2014 e Sassella 2012): la sottigliezza. Il corpo è fine ed elegante: un sottile velo, tessuto di organza, che non impegna il palato per la sua corposità, ma lo affascina per la sua complessità, mai banale. Sono vini non difficili, fragranti, che sanno di montagna, anzi che hanno la sottigliezza dell’aria di montagna (…); il tutto è giocato su un equilibrio mirabile che non li fa mai sentire eccessivi in freschezza (ma l’acidità è sferzante!) nè in termini di calore (ma il volume alcoolico non è irrilevante, 13%) con una base comune di frutto rosso carnoso  (più intenso ed amarognolo nell’Inferno, che è anche sensibilmente più giovane,  più maturo, suadente e sofisticato nel Sassella).

In abbinamento odierno a sana cucina di montagna, ricca di formaggio e burro. Da abbinarsi musicalmente a “Come é profondo il mare” dell’immenso Lucio Dalla…

d.c.





La modica quantità…



Brutta cosa essere prevenuti…

Il vino di questa sera non rimarrà certamente impresso secula seculorum nella RAM della mia memoria, ma è servito sicuramente a superare ingiustificati pregiudizi.  Metodo classico proveniente dalla denominazione milanese di San Colombano  al Lambro. Profumi non particolarmente intensi, giocati su una matrice di frutta, ma con una lontana ma piacevole nota affumicata piuttosto che tostata. Gusto secco, non condizionato dalla maturità di un frutto dolce che invece arrotonda la sensazione di freschezza.  Leggero ma corretto, sicuramente capace di vincere la prevenzione di uno abituato ad inzuppare i biscotti nel Franciacorta…(che peraltro non sapeva che a San Colombano si “alleva” anche il Pinot Nero).

d.c.

Il mondo sta veramente cambiando… terzo spiedo già prima di novembre (e fuori ci sono 20 gradi!).

Il mondo sta cambiando! Il clima sta cambiando! Ed anche il nostro gusto sta cambiando! Sarebbe stato inconcepibile, qualche anno fa, abbandonarsi agli abbiocchi postprandiali imposti dalla digestione dello spiedo senza brumosi pomeriggi autunnali e umide serate scandite dallo schioppettio delle caldarroste cotte a fuoco vivo…ma quali nebbie! Fuori ci sono 20 gradi, e della nebbia non è rimasto che il suo dannoso surrogato, chiamato smog, che ci vieta persino di accendere il nostro conviviale focherello, se no ci arrivano i vigili a casa! E di conseguenza stiamo adattando il nostro corpo a dedicarsi al locale monumento alimentare, nonostante le “avversità” climatiche.

E come promesso: VAI DI ROSSO!

Dopo due tagli bordolesi franciacortini, oggi ci dedichiamo ad un taglio benacense: Marzemino e Merlot. E’ il Ronco del Garda 2014 ( ancora denominato Benaco Bresciano IGT) della illuminata cantina lacustre Le Sincette di Polpenazze del Garda, fiera della sua certificazione biodinamica Demeter.

E’ tutto facile: dal succoso frutto rosso che sa di croccante ciliegia, all’uscita leggermente cioccolatosa. La freschezza integra invoglia alla beva, abbinandosi alla perfezione con la carne arrostita, detergendo il cavo orale dalla grassezza del piatto. Ma il vino vuole rimanere semplice, da tutti i giorni. Prezzo al ristorante di poco superiore ai 10 euro.

d.c.

Le mappae mundi.

Della ciliegia ne porta anche il colore.

Lo stupefacente spiedo dell’Osteria del Maestrì di San Vigilio.