Elogio della pigrezza: nuove zone spumantistiche crescono

Non avrei mai immaginato di poter trovare spumanti tanto nobili in terra piacentina, e la sorpresa è ancora superiore per il fatto che conosco la cantina Romagnoli, ma ahimè non per il Metodo Classico. Predominanza del Pinot Nero (70%) sullo Chardonnay, mostra però una impostazione di struttura differente rispetto alle non troppo lontane vinificazioni oltrepadane, volendo forse assomigliare di più a qualche modello franciacortino, e magari osare a guardare oltralpe…

Misura equilibrata per il Brut Cuvée, giocato sulle morbidezze di un frutto croccante, ma il vero allungo è con il Dosaggio Zero, ove il pinot sfodera tutta la sua finezza espressiva, dove il frutto si bagna di aromi agrumati e dove la struttura granitica accompagna una persistenza gustolfattiva notevole, mai riscontrata tra quelle incantevoli colline.

d.c.

30 mesi sui lieviti? Sboccatura febbraio ’17?

36 mesi sui lieviti e sboccatura? Bottiglia numerata a 4 cifre: ma non credo ne producano 9.999…

Peccato di “hybris”: a qualcuno non è piaciuto!

L’olfatto donava sensazioni di iniziata evoluzione: un principio di ossidazione, ma assolutamente controllata e trattenuta in ambiti di estrema eleganza. Ma poi al naso si donavano pennellate di frutta gialla e poi ancora di agrume candito ed infine un netta e nobilissima spezia. Invece in bocca tagliente, di misura perfetta, ed elegante precisione. Inscalfibile. Eppure ad alcuni dei miei compagni di merende non è apparso così gradevole: incredibile come qualcuno possa invocare al miracolo ed a qualcun altro apparire financo difettoso.

Rimango comunque della mia idea ossia che il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore (qui nel suo millesimo 2006) sia il più grande Metodo Classico Italiano.

d.c.

S.J. II: quanti muscoli.

Erano gli anni a cavallo del nuovo millennio, ed in quel periodo i vini, seguendo una perniciosa moda d’oltreoceano, valevano tanto quanto più volume alcolico mostravano in etichetta. Ed è proprio di quegli anni il marchigiano Sanguis Jovis sacrificato dopo 17 anni di riposo. Alla vista mostra tutta la sua vividezza, impenetrabile ma di un tono di colore che non mostra spazi a sospetti di maturità. E la non raggiunta maturità si scorge anche all’olfatto, ove predominano note fruttate di mora, mai declinate su indizi terziari. Ma già al naso si percepisce la notevole dotazione alcolica, la netta sensazione di “spirito”. In bocca poi l’alcool, che ha preservato il vino fino a qui, domina indiscusso, coprendo un po’ tutto, anche la necessaria dotazione tartarica. Muscoli,tanti muscoli, oggi diremmo troppi muscoli, ma tutti noi andavamo matti per vini così. Notevole però l’integrità con cui ha superato indenne più di tre lustri.

Sant’Andrea in Villis, 2000, Colli Pesaresi doc. Claudio Morelli.

d.c.

Una serata a casa di Claudio

Inizia con oggi una nuova “rubrica” che potrei intitolare Sanguis Jovis: ho deciso di dare fondo a tutta la “riserva aurea” della mia cantina, ben stratificata in tema di Sangiovese, con tante (ma tante) bottiglie, la maggior parte storiche. Sarà l’occasione di provare e testimoniare, con i nostri sensi, la tenuta nel tempo del “Sangue di Giove”.

Sabato sera. L’invito da parte di amici storici all’attacco di due “fiorentine” degne di un dinosauro, cotte sapientemente solo sulle braci roventi. Il vino non manca (anzi scorre veramente a fiumi), ma quale migliore abbinamento se non il rosso nato appositamente per accostarsi alla carne, ossia il sangiovese toscano. La scelta è ricaduta su due magnum, una del 2006 e l’altra del 2005, nate lontane dalla terra d’elezione dei Biondi Santi, ossia Scansano, già celebre per la docg del Morellino, ma soprattutto per il sangiovese “grosso”. Qui siamo alle prese con il figlio (Jacopo) del “santo subito” Franco Biondi Santi, in un’interpretazione fuori denominazione: Sassoalloro 2006 e Sassoalloro Oro 2005 (ceralaccato…) dal castello di Montepo’.

Integri, sinamai giovanili, la struttura acida conduce la beva e corregge le morbidezze di un frutto rosso che sta maturando e si sta arrotondando. Il sorso è vivace, scorrevole, piacevole ma in entrambe i casi non vibrante o perlomeno non emozionante. Molto più raffinata la versione Oro, meno calda rispetto alla versione “base” (leggermente più giovane), e che riesce ad allungare grazie ad una finezza superiore. Ma entrambi appaiono sufficientemente omologati. Manca la scossa elettrica… l’oggetto del nostro desiderio.

d.c.

14% volume alcolico… erano gli anni dei vini muscolosi.

… Ma anche 13,5% non scherza!

Effetto “effervescenze”

Non potevo che venire suggestionato dalla lettura di “Effervescenze”, di Massimo Zanichelli edito da Bietti. Al primo incontro con un Metodo Ancestrale oltrepadano mi ci sono subito avventurato.

WAI, Provincia di Pavia IGT, Bianco 2016. Tenuta Belvedere di Montecalvo Versiggia.

Vino frizzante da rifermentazione in bottiglia. Di fatto un Blanc de Noir, da uve di pinot nero. Tappo a corona, bella bottiglia “antica” dei ricordi (tanto per intenderci quella con cui mio nonno Bepi imbottigliava i bianchi travasandoli dalle damigiane gorgoglianti…). Un giallo carico, più che dorato, rossiccio. Una evidente velatura da feccia, in massima parte collassata sul fondo. Un’esuberanza di frutto al naso, una freschezza di polpa acerba, ma anche qualche nota fermentativa non propriamente gradevole. In bocca la forte percezione che la bulle seppur di estrema finezza ha minore carica esplosiva, ed è di minor supporto alla struttura acida, presente ma un po’ soverchiata dalla dolcezza del frutto e di tutto il liquido in generale. Piacevole per la novità, difficilmente abbinabile, comprendo il fascino della filosofia e della poesia che sta dietro a questi vini, ma non ancora in grado di emozionarmi. Forse non sono ancora pronto.

d.c.

La velatura non è solo appannamento del bicchiere…

La lettura attuale sul mio comodino.

Ne rimarrà solo uno.

Doppio cartone dalle alterne vicende, quello del Caseo Grande Cuvée Pas Dosè 2001: ma è stato in occasione della stappatura dell’ultima bottiglia del lotto la sorpresa più affascinante. Devo ammettere che non tutte le 12 bottiglie sono riuscite a valicare i limiti del tempo nello stesso modo: alcune di queste, progressivamente aperte nel tempo, erano segnate da decise marcature ossidative. Anche quest’ultima, sacrificata a ben 17 anni dalla vendemmia, mostrava una naturale vena ossidativa, ma la stessa donava note inaspettatamente conturbanti. Il colore di un indiscutibile giallo oro brillante. Olfatto di grande intensità: su tutte una esuberante nota di agrume candito. Al gusto ancora assolutamente tagliente, nessuna rotondità, nè grassezza alcolica. L’arancia ora qui è matura, ed il frutto è dolce, succoso. 17 anni dalla produzione!!! Almeno 14 dalla sboccatura! Monumentale.

d.c.

Millesimo

La retro con errore… applicata etichetta da grande formato, ma ahimè questa bottiglia era normale.

Panorama e… sempre sushi!

Ferrari Perlè 2011

E’ vero! Bevo e vivo la Franciacorta, ma non posso negare una predilezione per il Trento DOC, e su tutti la madre di tutte le maison della Valle d’Adige: Ferrari. Da sempre, per me, maestri assoluti di eleganza. E non è da meno questo Chardonnay del 2011, ma dalla sboccatura effettuata nel corrente anno. Eleganza olfattiva, con decisi profumi di fiori bianchi ed una mela verde leggermente acerba ed una conturbante speziatura. Imperiale eleganza al gusto: vibrante, secco, tagliente e di impressionante persistenza. Qui tornano note di mela questa volta miracolosamente maturata ed un tocco di mandorla da pasticceria. Peccato: troppo velocemente finito.

d.c.

Big Apple…

La fortuna di trovarsi qualche giorno nella Grande Mela ed essere ospiti all’Oyster Bar e Restaurant all’interno dell’immensa stazione di Grand Central. Cinque pagine cinque di selezione di diverse tipologie di ostriche (oltre 250 referenze…): la mia preferenza su strepitose Kumamoto dell’Oregon e Shigoku da Washington State. E poi una incredibile Soup…. una zuppa con vongole del Massachusetts di memorabile delicatezza. Ed il tutto abbinato a vino italiano: un Vermentino della bassa costa toscana (P.s. Nella carta dei vini appuntata in “Sardinia”… e potete immaginare gli strali verbali lanciati all’impreparato e presuntuoso sommelier). Ancora sufficientemente non integrato: da una parte una coriacea freschezza, pilastro della struttura dell’intera bevuta, dall’altra una lontana aromaticità ed una dolcezza di frutto che arrotonda ed ammorbidisce (in perfetto abbinamento con la dolcezza della zuppa).

Azienda agricola Terenzi in Montedonico ( a due passi da Scansano) Vermentino di Maremma Toscana doc BALBINO 2015… 40 USD (come un Prosecco…).

d.c.

E nonostante tutto continuerò a bere Franciacorta

Molti degustatori, gran Maestri, cominciano a divenire sempre più critici verso gli spumanti della Franciacorta, cogliendo, e non apprezzando particolarmente, le note di maturità indotte da stagioni estive sempre più bruciate da temperature mai provate. Anche io devo ammettere, che gran degustatore e maestro non sono, che molto spesso non comprendo a pieno nè il modello agricolo (qualora ancora ci fosse…) nè tantomeno “industriale” della gamma in produzione in Franciacorta (ma non tornerò su temi personali con il solo risultato del tedio…). Però ritengo che in Franciacorta oggi si beva ancora bene: un vino che probabilmente si è modificato nella sua evoluzione (non organolettica); che probabilmente non ha ancora trovato il modello perfetto commerciale (come se questo esistesse), rincorrendo il falso ed irraggiungibile miraggio di poter essere considerato un mercato alternativo alla bollicina francese (… ma quando mai!!!…); che potrebbe trovare nuovo slancio anche con l’introduzione di nuovi uvaggi ammessi, con una contribuzione non tanto migliorativa quanto di correzione di acidità (d’altra parte fra poco si vendemmierà a giugno!) facendola un po’ in barba alla tradizione (… ma cosa è una tradizione non ancora quarantenne? Al massimo alla seconda generazione di vignaioli, quand’anche la maggioranza dei produttori sia ancora alla prima…).

E quindi?…. e quindi vi racconto un fine settimana tipo di un normale residente franciacortino.

Venerdì ora di pranzo. Bisogna ridestare le papille, assopite da qualche ora di astinenza dal vino…

Nonostante la lontananza lavorativa, bere i vini di casa, e peraltro di amici, non è un problema. E per cui ottimo Dosaggio Zero di Muratori. Preciso e tagliente nonostante un calore alcoolico generoso. E’ uno dei miei vizi quotidiani preferiti.

Sabato a pranzo. Dell’ “Occ de Pernis” vi ho già raccontato, e per cui salto…

Sabato sera a cena con l’Editore. Cosa si berrà?

Attenzione! L’Editore vi scruta ed osserva… sempre!

Cavalleri Dosaggio Zero 2012: una delle mie cantine preferite. Simbolo costante nel tempo di qualità. Da tempo oramai convertita alla schiera dei Vignaioli Indipendenti.

Assoluti cultori della modica quantità, la nostra secchezza di fauci non poteva che portare a stappare ancora qualcosa d’altro…

Mosnel, naturalmente Pas Dosè (ve l’ho già detto che mi piacciono i Non Dosati? Mi sembra di si…). Il meno muscoloso nella serie di assaggi, ma dalle grandi doti di leggerezza e precisione,

Pranzo della domenica.

Beh ogni tanto prendersi una pausa di riflessione aiuta, una divagazione su bollicine diverse concede di fissare qualche termine di paragone, anche se i paragoni NON vanno fatti quando a tavola trovi una bolla francese…

Tranquilli, niente di stupefacente. Champagne commerciale da Maison di gran commercio… ma sempre meglio che bere Prosecco…

Da questo tipo di bollicina i nostri “eroi” non sono tanto lontani. Ed infatti la seguente bottiglia (aperta sempre nel rispetto della modica quantità) non ha affatto sfigurato: ancora Muratori con un Villa Crespia? Prometto: per un po’ non ne parlerò più (pur continuando a berne copiosamente…).

Ancora Dosaggio Zero! Ma quale Riserva… un 2006, con sboccatura 2013. Nessun elemento ossidativo nel bicchiere, anzi una integrità granitica, prova (già altrove sperimentata) che i Grandi Franciacorta, qualora ben conservati sono assolutamente immortali.

Lunedì a pranzo.

La vita è già abbastanza dura di suo, ed ad inizio settimana è ancora più dura: è quasi un obbligo rincorrere il tentativo di addolcirla. Non andando matto per i vino dolci… vai di Franciacorta!

Molto delicato, non impressionante in termini di struttura, persistenza fugace, ma ottimo in abbinamento con una pasta ai frutti di mare. Beh anche il lunedì finirà…

Martedì a pranzo.

La settimana è lanciata, il catalizzatore dei guai è in azione. Necessita boccata d’aria.

Evviva la Franciacorta, quando il Franciacorta è così buono! Ad una frutta fresca, croccante di pasta gialla si affianca una imperiosa acidità, trama portante di una struttura inscalfibile.

Avete ragione: settimana monotona e monotematica.

d.c.