Colli, e sempre Colli, e fortissimamente Colli. II

Continua il mio studio piacentino sulla cantina Luretta: già avevamo analizzato un rosato di difficile connotazione ma di sicuro interesse e pregio.  Oggi invece percorriamo vie più conosciute e raffrontabili a prodotti similari sul terreno italico: Principessa Pas Dosè 2011. Da uve chardonnay e pinot noir, riposa 36 mesi sui lieviti, per un carattere indomito. Giallo dorato all’analisi visiva, perlage di piacevole finezza, la stessa finezza che si percepisce all’olfatto, blandendo la degustazione con delicatezza, quasi in punta di piedi. Cremoso, con frutta a polpa gialla ed agrumi, con un fondo di pasticceria. Pari note in bocca, dove imperia però una freschezza esemplare che doma e conduce la pur consistente dotazione alcolica (13,5% vol.). Eleganza nella retrolfattazione, nessuna nota amarognola, ma una persistente nota agrumata, lunghissima e piacevolissima. Da ricordare… “xxx”.

d.c.

La retroetichetta.


60 mesi e non sentirli… o perlomeno vederli! Colori di straordinaria vividezza.

90 punti? 

Ricordo quando il grandissimo sommelier e degustatore Luca Gardini assegnò al Valpolicella superiore 2011 di Roccolo Grassi il punteggio ricordato nel titolo.  Ieri ho avuto la fortuna di incontrare il 2012. Che grande vino! Naso intenso, una vera sferzata, con un complesso ventaglio di fiori e frutti rossi, accompagnagnati ai percettori da una colonna alcolica…alla vista la rossosità rubina è prova di una stabile giovinezza! In bocca l’entrata è potente e rotonda: la forza alcolica (14,5%) è anche qui veicolo non solo di calore ma di un frutto dolce e  scuro croccante che rimane di persistenza infinita. La giovinezza è ricordata da una freschezza che sorregge tutta la struttura e da una distinta nota di vinosità, nonostante i 4 autunni. Nessuna nota terziaria percepibile. Per i 90 punti… Non so! Ma di sicuro rimane la voglia di reincontrare questo 2012 fra qualche anno per goderne l’attesa evoluzione. Costo? Inferiore ai 20 euro.

Az. agricola Roccolo Grassi, Mezzane di Sotto (Vr).

d.c.

Tradizione o vetustà ?

La riflessione verso cui oggi voglio condurvi mi viene suggerita (suo malgrado) dall’assaggio di un vino semplice semplice: ho incontrato il Tramoser, un Venezie Bianco Igp dell’ azienda agricola Faccioli di Sona (Vr): vendemmia 2014. Da uve bianche (… Nulla più si ricava dalle schede tecniche sul vino recuperabili sul web… Mi gioco Garganega, Trebbiano e forse Trebbianino, ma scommetto su una quota di Pinot grigio) e lavorazione del mosto in acciaio. Evidentemente la denominazione è, come si diceva un tempo, “di ricaduta”, ma il prodotto è deboluccio: un bel giallo paglierino con chiari riflessi dorati, profumi per niente banali, con un bello spettro di complessità su note di frutta gialla matura ed una nota iodata però che sarà la fonte di tutti i miei dubbi. In bocca la cremosità dolce da crème brûlé sovrasta la spalla acida e sapidità e quella nota iodata già rintracciata dall’olfatto è per me sintomo di un processo degenerativo di ossidazione. Tutto il resto poi è calore apportato da una sostenuta dotazione di alcool (13%). Ricorda esattamente i vecchi vini vecchi da osteria… Ma è un 2014!!! Come pensare che la tecnologia di oggi porti a vini (destinati ad un mercato da “bottiglia”) di obbligato pronto consumo? La denominazione di ricaduta, anziché donare libertà e fantasia di produzione, dona ancora la libertà di scaricare i residui produttivi? Quale il mercato per questi prodotti, se non nell’ambito”localissimo” ?
d.c.

Vini da supermercato

Si! È vero! Pur essendo perdutamente innamorato del vino, anche nel suo essere oggetto, ho sempre considerato i prodotti venduti nella grande distribuzione, solo come lontani parenti del mio oggetto del desiderio. Ebbene sì: l’allocazione usata nel titolo ha sempre avuto valenza dispregiativa! Avevo ragione? Ma non lo so… Vedendo molto spesso i prezzi ed i tempi con cui la g.d.o. liquidava le proprie partite d’acquisto, la mia solidarietà verso il produttore si trasformava nella convinzione che quest’ultimo vendesse alla controparte la peggior produzione. E poi per un cultore della conservazione come me, vi immaginate scaffali e pallet di cartoni esposti a qualsiasi variazione di temperatura, luce e condizioni di umidità ? Barbarie! Era giusto che negli scaffali si trovasse solo il peggio! Certamente la crisi del consumo del vino ha aiutato a stemperare le mie posizioni intransigenti, convinto che in realtà la grande distribuzione sia stata utile valvola di sfogo (anche per le grandi cantine) nello svuotare almeno parzialmente gli stoccaggi che si saturavano. Non sono ancora convintissimo di trovare qualità , però perlomeno ho recuperato la valenza nel poter rintracciare velocemente vini non propriamente facili da recuperare. Per cui questa sera inizio una nuova rubrica, dedicata a quei, rari, vini che mi sentirò di salvare dal bancone facendo la spesa.

Sono quasi 10 anni che non bevevo un Cirò, ossia dalla mia ultima vacanza in terra calabra. Questa sera ho incontrato un Gaglioppo in purezza del 2015 della Vinicola Zito snc di Cirò Marina (Kr): un bellissimo rubino vivace, un intenso profumo di frutti rossi, tabacco e cioccolato, peccato una beva troppo leggera, solo acida, ma senza una struttura degna da vero vino rosso, nonostante ben 13% di alcool. Sfuggevole al palato. Lontanissimo da quei ricordi stampati nella mia memoria dei veri Cirò Rossi.

d.c.

Bastasse l’ispirazione

Chissà dove nasce il Merlot in purezza Col Beato prodotto dall’azienda.agricola  La Sinta in Collebeato ? Nasce sotto il cappello normativo della I.G.P. Ronchi di Brescia, ma chissà dove è localizzato il vigneto? È una zona che credevo di conoscere palmo a palmo, non particolarmente nota per vigneti di prestigio, se non quelli impiantati sul colmo dei Campiani (dove trovano sede anche cantine di significativa valenza e che segna il confine orientale della Franciacorta) dove però non ho mai visto grappoli di Merlot…E poi non si sta parlando di un uvaggio qualsiasi: è chiaro che viene naturale pensare ad una ispirazione transalpina, ai carissimi e setosi vini del Pomerol, ovvero ai ben riusciti (perlomeno in termine di marketing) esperimenti toscani in ambito di IGT (oggi appunto IGP) Toscana. Ricordo però strabilianti Merlot svizzeri, piuttosto che verdi che più verdi non si può “merlottoni” dal grave triveneto. Vuoi vedere che oggi mi imbatto in qualcosa da ricordare? Il naso è pulito con una sensibile intensità: il frutto rosso è dolce, croccante. Nonostante la vendemmia sia una 2010, nessuna nota terpenica verde nè tantomeno attese note terziarie: bene! Un vino vivo e fresco! L’impressione è notevole! È tutto declinato nella semplicità, ma già queste caratteristiche fanno attendere un grande prodotto. Ed invece il sogno si spegne in bocca: la struttura è unicamente giocata su una acidità spiccata, forse di natura tartarica, ma troppo invasiva e coprente una prugna anch’essa qui immatura. Tutta quella bella intensità all’olfatto, delusa da una totale inconsistenza al gusto ed ad un calore alcoolico completamente slegato da tutto il resto. Bottiglia destinata all’esportazione in USA. 13,5% il volume alcolometrico. Forse da rivedere su vendemmia più recente.

d.c.

Franciacorta, I love You…? X puntata.

Dovrò modificare il titolo della mia rubrica, perché da qualche giorno a questa parte sto approfittando troppo del punto di domanda! In attesa che i miei compari ci raccontino il viticoltore, io continuo a raccontarvi il vino. Qualche giorno or sono ci siamo abbandonati ad un Rosé fuori disciplinare Franciacorta, molto particolare, oggi ci dedichiamo ad un non dosato rispettante le indicazioni del disciplinare, ma non per questo meno particolare del primo.Siamo sempre in compagnia di un prodotto dell’azienda agricola Il Pendio di Michele Loda, in Monticelli Brusati:Il Contestatore Pas Dosé.Certamente magnetica la dichiarazione di questa etichetta per dei degustatori anarchici quali siamo noi, ma in realtà pare solo il nome del cru di provenienza delle uve esclusivamente Blancs…. Una cosa é assicurata però: non ci sarà contestazione, ma di particolarità questo vino ne ha veramente tante. Millesimo non indicato, ma una data della controetichetta richiama un’annata 2011. Olfatto giocato su note di frutta matura, ma su sensazioni niente affatto dolci. Anzi una nota metallica ed affumicata lo accompagna in profondità. Ma lo stupore (ed il dubbio) in bocca, dove è forte la percezione del processo di spumantizzazione seguita: il vino base è una classica vinificazione in bianco, senza gli eccessi di acidità di vendemmie precoci. Ed infatti non sarà la spalla acida, seppur presente, ad essere l’arco di volta della struttura: il vino davanti a noi è sapido, insolitamente sapido e quella nota fumé del naso ritorna come leitmotiv nella retrolfattazione del cavo orale. Ricorda fortemente i Franciacorta delle origini, o perlomeno di 25 anni fa. Qualche forte ricordo o ispirazione dei grandi Maestri transalpini? Tradizione come forma di contestazione? Lascio ai miei esperti maestri la risposta.

d.c.

Franciacorta, I love you…? IX puntata.

Scendo dall’empireo degli ultimi incontri, e torno finalmente a casa: Franciacorta Essence Brut 2010 Antica Fratta (Monticelli Brusati, deg. 2015 luglio (credo), 13%volume alcolico). Perché il punto di domanda? Perché in un raro momento di clemenza mi sono chiesto quale potesse essere il motivo per penalizzare un prodotto di fattura integerrima, pulito, elegante, non solo senza difetti, ma ben equilibrato in tutte le sue parti: come uno scolaro a scuola un po’ (tanto) secchione e con tutti gli 8 in pagella. Solo che noi preferiamo la vivace irrequietezza del più scalmanato… Tanto poco equilibrato quanto imprevedibile. Ecco! Il brut sacrificato al nostro oblio è perfetto quanto prevedibile: è fresco al punto giusto; è rotondo, con un bel frutto giallo dolce ed una nota agrumata (di composizione da uve chardonnay e pinot nero) al punto giusto; ha una piacevole persistenza al punto giusto. Non credo che sia senza anima, ma è tanto noioso…pur se di godibilità al palato significativa. Merita però  una menzione l’eleganza della bottiglia (qui in formato magnum) e dell’habillage decorativo.

d.c.

A la prochaine fois mes amis… Cuvée N.F.

Era da tempo che non infilavo una serie (continua) di tanti vini e di tale qualità: dopo l’esperienza mistica della Cuvée Rosa (di cui ci siamo completamente innamorati) perché non concludere il nostro viaggio con una delle bandiere della maison Billecart-Salmon, con la sua espressione maschile: Cuvée Nicolas Francois Billecart, anno domini 2000. Da uve Pinot noir e Chardonnay provenienti esclusivamente da vigneti classificati Grand Cru, anche se il produttore non ne riporta mai la menzione, evidente consapevolezza della grandezza del prodotto. All’olfatto è di ampia complessità: apre su note grasse, opulente, quasi burrose per defilarsi su pennellate fruttate a polpa gialla e secca. In bocca il vino entra tagliente, compatto, un puro fendente sulle papille linguali, per poi addolcirsi prima su note fruttate e poi morire con una persistenza impressionante su ricordi d’agrumi, su tutti un distinto bergamotto. Abbinabile a tutto, anche solo alla vita… A la prochaine fois, Monsieur NF!

d.c.

Asso pigliatutto…

E chi si ferma più ? Chiudo (ma sarà poi vero?) la serie di Rosé incontrati in questi ultimi giorni, e prontamente raccontativi, con un vino incredibile, magico, una vera meraviglia del creato: Cuvée Elisabeth Salmon Brut Rosé 2002 prodotto in onore della fondatrice da parte della maison di Mareuil sur Ay Billecart-Salmon: processo di tirage dall’ assemblaggio di vini singolarmente prodotti da uve chardonnay da una parte e da uve di pinot noir dall’altra. Eleganza strabiliante nel bicchiere con la brillantezza di un profondo rosa salmone. Ma fra tutte le caratteristiche sono i profumi a rendere estasiati: non ricordo tanta complessità in uno Champagne… Rosa, peonia, fragoline di bosco, una croccante pasticceria, un intera cassetta di agrumi ed infine mi sembra di scorgere un’affascinante nota “silicea”. Al palato tagliente ed avvolgente: il primo impatto è di assoluta freschezza, poi il frutto rosso ed una ribadita fragolina permea il palato, per chiudere con una persistenza sapida infinita. Un vino da sogno, ora abbinato ad un altrettanto onirico plateau di crostacei… Obiettivamente poco accessibile dal punto di vista economico, la bottiglia diventa oggetto di esclusività e di privilegio per i fortunati presenti.
d.c.

Franciacorta, I love You…VIII puntata.

Ieri un Rosé franciacortino solo per origine di produzione, ma non per denominazione e disciplinare, oggi un Franciacorta Rosé perfettamente DOCG. Era da tempo che attentavo all’apertura della bottiglia detenuta in cantina, ma la voglia di confronto tra vini ha avuto oggi il sopravvento. Ieri un Pas Dosé oggi un Brut: é il “Rosi delle Margherite” della cantina Le Cantorie in Gussago. Pinot nero in purezza, qui nella spumantizzazione più classica, non per salasso, ma per macerazione sulle bucce per qualche ora. Colori tenui, con un rosa leggero e dagli evidenti bagliori ramati. Olfatto di piccoli frutti rossi di bosco, ma anche qui la nota di vinosità, tanto invasiva nel non dosato di ieri, ritorna: più tenue ma in sottofondo continuo. Molto decisa l’entrata al palato, fresca, tartarica, poi avvolgente con sempre un frutto rosso e vinosità che via via si trasforma in calore. Persistenza notevole, con una nota finale amaricante ma mai spiacevole.

d.c.