Spuntino toscano: S.J. III

Qualche fetta di salame, due o tre assaggi di formaggio ed un Chianti: merenda che vale l’intero pomeriggio. Chianti delle colline fiorentine, molto giovane (2015). Infatti profumi ed aromi sono intrisi di un intenso frutto rosso (su tutti una mora matura) ed una netta sensazione di tostatura. Il vino è facile, scorrevole nonostante il generoso tono alcolico, e, ahinoi, finisce alla svelta.

d.c.

Rosa, rosae, rosa, rosam, rosa.

Non sono più abituato a vini così colorati, ma quando il vino in questione scende nel bicchiere lascia a bocca aperta, ricordando aperitivi che tanto piacevano un tempo. La dolcezza permea l’ambiente circostante, ed i profumi sicuramente di rosa ma anche di una fragola di bosco matura inebriano l’olfatto. Poi di nuovo la dolcezza in bocca la fa da padrona solo parzialmente rinfrescata da una bollicina leggermente petillant. Obbligatorio l’accostamento a piccola pasticceria, meglio se di frutta.

d.c.

… non vi ricorda un Bellini?

Carbonara al volo

La fortuna di avere in famiglia due mangiatrici di carbonara da competizione, e la voglia, tutte le volte, di abbinare la pasta, rigorosamente cucinata in casa, ad un vino (spumante) diverso. Questa volta il destino ha chiamato all’appello il Millesimo 2006 Pas Dosè di Majolini, già qui incontrato in passato, anche perché trattasi di uno dei miei favoriti. Sempre elegante, anzi austero. Questa volta è percettibile qualche nota più evoluta, un frutto maturo più croccante e rotondo. Ma le durezze appaiono inscalfibili nonostante gli oltre 10 anni dalla produzione e drenano via ogni forma di grassezza del cibo.

d.c.

Il vero salto in padella.

Le magie di Michele

Metti una cena alla Madia di Brione, con amici, i più cari che tu abbia. E nonostante le fatiche lavorative avere voglia di abbandonarsi alla ricerca ed alle sorprese che escono dalla cucina.

Prima sorpresa? Quasi un garagiste di Franciacorta. Il Pinot Nero Metodo Classico di Ravarini è un vino antico, persino lontano dalla tradizione. Il bicchiere mostra un colore giallo intenso. I profumi sono di frutta matura, tra la mela golden un po’ disidratata ed il candito del panettone. Ed in bocca cambia, sparisce il frutto giallo e si affaccia il frutto rosso, di bosco, ed una nota speziata tanto strana quanto affascinante. Secco, secchissimo, mai amaro. Oggi in Franciacorta assolutamente un unicum.

337 bottiglie prodotte, una finita avidamente troppo presto.

Gnocchi e zucca?

Risotto con i “frutti invernali”: il regalo più bello di questo Natale.

Di tutt’altro stampo ed impostazione il Dosaggio Zero di Andrea Arici, i cui vigneti accompagnano tutti i giorni le mie partenze e salutano i miei ritorni, non fosse altro perchè la cantina è a poche centinaia di metri dalla mia dimora. E quindi con le “Colline della Stella” si gioca in casa; ma pur essendo una mano conosciuta, è sempre un piacere avvicinarsi ed incontrare la freschezza e la vibrante vivacità di questi spumanti. L’intensità della colorazione gialla è chiaramente più tenue del precedente, e l’olfatto ti ammalia per la leggera finezza: i profumi paiono sussurrati, ma arrivano netti, precisi, distinti. La frutta qui è fresca, con folate citrine. Ma è nella bocca che si palesa la cristallina struttura, inscalfibile: due binari retti, lunghissimi, financo rigidi.

Numerose le degustazioni arrivate al nostro tavolo, ma più che magico, miracoloso il maialino qui sotto ricordato: ad una impostazione da spiedo della carne, la ricerca dell’amaro tramite la sardina di MonteIsola in luogo della “solita” piccola cacciagione.

d.c.

Elogio della pigrezza: nuove zone spumantistiche crescono

Non avrei mai immaginato di poter trovare spumanti tanto nobili in terra piacentina, e la sorpresa è ancora superiore per il fatto che conosco la cantina Romagnoli, ma ahimè non per il Metodo Classico. Predominanza del Pinot Nero (70%) sullo Chardonnay, mostra però una impostazione di struttura differente rispetto alle non troppo lontane vinificazioni oltrepadane, volendo forse assomigliare di più a qualche modello franciacortino, e magari osare a guardare oltralpe…

Misura equilibrata per il Brut Cuvée, giocato sulle morbidezze di un frutto croccante, ma il vero allungo è con il Dosaggio Zero, ove il pinot sfodera tutta la sua finezza espressiva, dove il frutto si bagna di aromi agrumati e dove la struttura granitica accompagna una persistenza gustolfattiva notevole, mai riscontrata tra quelle incantevoli colline.

d.c.

30 mesi sui lieviti? Sboccatura febbraio ’17?

36 mesi sui lieviti e sboccatura? Bottiglia numerata a 4 cifre: ma non credo ne producano 9.999…

Peccato di “hybris”: a qualcuno non è piaciuto!

L’olfatto donava sensazioni di iniziata evoluzione: un principio di ossidazione, ma assolutamente controllata e trattenuta in ambiti di estrema eleganza. Ma poi al naso si donavano pennellate di frutta gialla e poi ancora di agrume candito ed infine un netta e nobilissima spezia. Invece in bocca tagliente, di misura perfetta, ed elegante precisione. Inscalfibile. Eppure ad alcuni dei miei compagni di merende non è apparso così gradevole: incredibile come qualcuno possa invocare al miracolo ed a qualcun altro apparire financo difettoso.

Rimango comunque della mia idea ossia che il Giulio Ferrari Riserva del Fondatore (qui nel suo millesimo 2006) sia il più grande Metodo Classico Italiano.

d.c.

S.J. II: quanti muscoli.

Erano gli anni a cavallo del nuovo millennio, ed in quel periodo i vini, seguendo una perniciosa moda d’oltreoceano, valevano tanto quanto più volume alcolico mostravano in etichetta. Ed è proprio di quegli anni il marchigiano Sanguis Jovis sacrificato dopo 17 anni di riposo. Alla vista mostra tutta la sua vividezza, impenetrabile ma di un tono di colore che non mostra spazi a sospetti di maturità. E la non raggiunta maturità si scorge anche all’olfatto, ove predominano note fruttate di mora, mai declinate su indizi terziari. Ma già al naso si percepisce la notevole dotazione alcolica, la netta sensazione di “spirito”. In bocca poi l’alcool, che ha preservato il vino fino a qui, domina indiscusso, coprendo un po’ tutto, anche la necessaria dotazione tartarica. Muscoli,tanti muscoli, oggi diremmo troppi muscoli, ma tutti noi andavamo matti per vini così. Notevole però l’integrità con cui ha superato indenne più di tre lustri.

Sant’Andrea in Villis, 2000, Colli Pesaresi doc. Claudio Morelli.

d.c.

Una serata a casa di Claudio

Inizia con oggi una nuova “rubrica” che potrei intitolare Sanguis Jovis: ho deciso di dare fondo a tutta la “riserva aurea” della mia cantina, ben stratificata in tema di Sangiovese, con tante (ma tante) bottiglie, la maggior parte storiche. Sarà l’occasione di provare e testimoniare, con i nostri sensi, la tenuta nel tempo del “Sangue di Giove”.

Sabato sera. L’invito da parte di amici storici all’attacco di due “fiorentine” degne di un dinosauro, cotte sapientemente solo sulle braci roventi. Il vino non manca (anzi scorre veramente a fiumi), ma quale migliore abbinamento se non il rosso nato appositamente per accostarsi alla carne, ossia il sangiovese toscano. La scelta è ricaduta su due magnum, una del 2006 e l’altra del 2005, nate lontane dalla terra d’elezione dei Biondi Santi, ossia Scansano, già celebre per la docg del Morellino, ma soprattutto per il sangiovese “grosso”. Qui siamo alle prese con il figlio (Jacopo) del “santo subito” Franco Biondi Santi, in un’interpretazione fuori denominazione: Sassoalloro 2006 e Sassoalloro Oro 2005 (ceralaccato…) dal castello di Montepo’.

Integri, sinamai giovanili, la struttura acida conduce la beva e corregge le morbidezze di un frutto rosso che sta maturando e si sta arrotondando. Il sorso è vivace, scorrevole, piacevole ma in entrambe i casi non vibrante o perlomeno non emozionante. Molto più raffinata la versione Oro, meno calda rispetto alla versione “base” (leggermente più giovane), e che riesce ad allungare grazie ad una finezza superiore. Ma entrambi appaiono sufficientemente omologati. Manca la scossa elettrica… l’oggetto del nostro desiderio.

d.c.

14% volume alcolico… erano gli anni dei vini muscolosi.

… Ma anche 13,5% non scherza!