Satèn in Franciacorta: non mi taccio! L’avevo promesso…

Non posso tacere, l’avevo promesso qualche post orsono, altrimenti avrei fatto una “campagna” denigratoria verso una sola cantina, cercando di influenzare i nostri due, forse tre, lettori. 

Ma a me, per chi non l’avesse capito, il modello di Satèn oggi inseguito in Franciacorta non piace. E’ vero che il mio gusto è “secco” (ma mi sembra di intuire che il filone gourmand della cucina attuale sia secco…); così come è vero che secondo il sottoscritto, che non può avere velleità di giudizio incontestabile, la migliore produzione in Franciacorta è legata al nullo o limitatissimo dosaggio. Ma perchè bisogna fare i Satèn così dolciastri? Ricordo a tutti che trattasi comunque di Brut (quindi in Franciacorta con un limite di grammi di zucchero per litro pari o inferiori a 15), ma l’impressione è ben altra (benchè la dolcezza del frutto dello Chardonnay un po’ aiuti la confusione).

L’altra volta parlavamo di una piccola cantina, ma questa volta trattiamo di un indiscusso big: ma il giudizio (il mio giudizio) è il medesimo! Certamente invito tutti coloro che hanno voglia di aiutarmi a confutare tale giudizio ad intervenire liberamente: gliene sarò grato.

Poi tra un Satèn ed un altro mi capita di imbattermi in bottiglie con qualche anno, soprattutto, ahimè, dalla sboccatura. E’ vero: la conservazione è fondamentale, ma tutte hanno ceduto ad una invasivo processo ossidativo. Provate a dire ai nostri cugini francesi che i loro Blanc des Blancs, ovvero i loro Cramants dopo un lustro sono già in fase calante, e vediamo la loro reazione (giustificata).

d.c.

5 anni dalla vendemmia…


…4 dalla sboccatura…

…per fortuna che sono riuscito subito a rifarmi con il Brut Classico…

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