Ma siamo così sicuri di essere poi tanto bravi?

Qualche anno fa ebbi la fortuna di partecipare ad un panel di degustazione di vini spumanti metodo classico prodotti nel Regno Unito: ricordo campioni strepitosi, ma … too expensive… Ho spesso bevuto piacevolissimi Cremant d’Alsace (metodo classico) a meno di 10 euro a bottiglia. Oggi non è difficile imbattersi in Champagne di quasi nobile levatura intorno ai 20 euro.

Paolone, sempre lui, qualche anno fa mi omaggiò, nel suo vagare senza meta, di una strana bottiglia austriaca “Methode traditionelle” extra troken da uve di Grüner Veltliner. Da questa uva avevo già provato freschi e sbarazzini vini fermi, ma mai “bollicine”. Bottiglia destinata alla sorte comune a tutte quelle che entrano nella mia cantina e… rispuntata ieri sera, dopo almeno 3 anni di accatastamento.

L’etichetta denuncia un volume alcolico di 11,5 %, abbastanza anomalo nelle produzioni moderne. Vino semplice ma ben equilibrato: olfatto senza una complessità da capogiro ma piacevolmente impostato su note di frutta fresca a polpa gialla, nessuna nota ossidativa. Anche in bocca la dolcezza di un frutto estivo, ma innestato su una solida base di freschezza, pungente ma mai eccessiva. La voglia, allo svuotamento del bevante, di riempirlo… L’impressione, al di là della indubbia qualità produttiva, di un prodotto poi non così economicamente inabbordabile. Ampiamente superiore per qualità ad un Prosecco (che metodo classico non è, ma che prova, con una certa insistenza ad alzare i prezzi) ma anche di molti Franciacorta di media gamma, che oggi puntano ai 16/18 eur (non in enoteca). Insomma Paolone… svelaci l’arcano: quale il costo?

d.c.

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Franciacorta…I love you. Prima puntata.

Avrete capito che ho dei gusti strani, si…mi piacciono i vini strani, ma solo quelli che mi sanno raccontare qualche cosa. Ed è il caso del Franciacorta che andrò a svelarvi. Strano? Un pochino si, tanto da considerarlo un esperimento: prodotto presso gli ottimi Majolini, con cantina in Ome, un Brut  Blanc de noir da sole uve di pinot nero, da un solo cru (per il quale il mito racconterebbe l’affioramento di una stratificazione di gesso… Come se fossimo a Mesnil sur l’Oger… Sinceramente però non ho mai visto terreni poi così bianchi…). L’ho tenuto, come mia abitudine, un po’ in cantina ad affinarsi: mi piace “stressare” il prodotto, se c’è qualità, questa, con un po’ di attesa, viene esaltata. L’etichetta denuncia sboccatura 2012. Raro? Ve l’ho detto che era un esperimento! Sono stato un privilegiato a godere di qualcuna delle 2.700 bottiglie prodotte. E privilegio è stato! Vino di rara finezza ed eleganza. Bellissimo alla vista, con un perlage degno di un grande champagne, olfatto giocato su delicate note agrumate tra il lime ed il bergamotto, palato tagliente, secchissimo, di persistenza infinita. Questo è un vino che amo. Amici miei, ne ho ancora 2 esemplari depositati in cantina… Vi aspetto.

d.c.

È stato il vino dei padri a farci rincontrare.

imageNon ho mai fatto mistero che fu il Gattinara di Travaglini, per il tramite di una qualche vendemmia antica, ha palesarmi la mia inguaribile nebbiolo dipendenza: non l’austero Barolo o l’elegante Barbaresco, che pur amo visceralmente, e nemmeno l’eroico valtellinese, che mi commuove tutte le volte al suo assaggio, bensì il fresco, ed a volte un po’ rustico vino che viene dal piccolo Comune su cui cala l’ombra dell’imponente Monte Rosa. Che cosa mi ha mai dato di più? Credo in realtà nulla, se non una, appunto, antica emozione intellettuale e contadina.

Ed incredibilmente ieri la degustazione di ben 7 diversi “nebbioli” di Travaglini organizzata dalla delegazione Ais di Brescia, mi ha concesso una ulteriore nuova emozione legata al reincontro conviviale con vecchie amicizie che da tempo non vedevo, ed a cui sono legato da genuino affetto.

Ed il vino? Managgia!!!!! Mi ha proprio deluso. Non ho ahimè ritrovato quella vibrante emozione che faceva scuotere le mie corde…Segno del mio precoce invecchiamento? Abitudine alla beva di qualità? Stanchezza? Le tengo valide tutte, ma la mia nebbiolo dipendenza ha avuto ieri sera un cedimento. Intendiamoci: tutti i vini, compreso il nebbiolo “base”, erano più che corretti se non addirittura di pregevole fattura, ma tutti privi di quel daimon che ricerco con ansia nel “campione”. Anzi mi sono ritrovato con un dubbio in più (di facile lettura): i vini con 5/6 anni di invecchiamento sono apparsi assolutamente più evoluti, con sviluppate note terziarie, rispetto alle riserve di oltre 10 anni (al palato assolutamente giovanili e fresche); capisco il mercato e la necessità di liberare le cantine, ma dov’è finita la poesia di stappare un nebbiolo di numerosi lustri (che poi sono quelli che piacciono a me)?

A mio profano giudizio: notevole il Gattinara riserva 2010, punto interrogativo per le tanto blasonate riserve 2006 e 2005 (evolveranno bene o rimarranno delle eterne gioventù incompiute, decadendo immediatamente con la futura ossidazione?). Deludente (anche un bel po’) “Il Sogno” 2010: un po’ Sfursat ed un po’ Amarone ma senza carattere e convinzione della propria identità.

d.c.

Fama e sorpresa

Celeberrimo il cru di Corvina veronese da cui gli ancora più famosi Allegrini producono un vino oramai passato nella leggenda ossia La Poja. Oggi ho avuto la fortuna di aprire un esemplare del 2006, figlio di un’annata importante. E la nobiltà della vendemmia è tutta riscontrabile nel bicchiere: vino importante e complessissimo fin dall’olfatto giocato su note terziarie travolgenti tra cuoio, tabacco e prugna disidratata. Al palato fine ed elegante, mai troppo invasivo, ancora di puntuale freschezza.

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E poi divertirsi a cercare tra le cataste di bottiglie qualcosa che possa assomigliare, per provare un confronto: Igt 2006 La Poja vs Igt Corvina Veronese 2011 di David Sterza. Apparentemente imparagonabili (anche in punto di prezzo) rincorro il paradosso… E mi azzardo a far seguire il più giovane (e minimamente titolato) alla celebrità! Inchiostro alla vista, meno consistente nella rotazione del bicchiere rispetto al decano: sottotono l’aspetto olfattivo in tema di intensità ma i profumi sono eleganti e giocati su note di frutta dolce scura. In bocca… La sorpresa! Gradevolezza di altissimo livello, rotondo, freschissimo, tannino già setoso, di persistenza infinita. Evidentemente da tenere con tranquillità in affinamento per qualche anno ancora.  Bottiglia che se ricordo bene viene a casa con voi con meno di 10 eur.

 

 

Riserva o non riserva?

imageMa che fine hanno fatto le “Riserve” in Franciacorta? Attendendo dì trovarne una sul mio cammino oggi mi sono dedicato ad una riserva in pectore ossia un millesimo di Ronco Calino del 2009: prodotto da uve 65% chardonnay e 35% Pinot nero  coltivate nel bellissimo anfiteatro morenico vicino alla cantina di Cazzago San Martino. La bottiglia affrontata viene segnalata nel lotto di sboccatura settembre 2015. Semplicemente “bello”: in tutte le sue caratteristiche. Giallo paglierino già con riflessi dorati, perlato da infinite effervescenze finissime. Olfatto di suprema eleganza, di ispirazione fin troppo champagneggiante (…). Eleganza che si ritrova al palato accompagnata da una persistenza notevole tutta giocata tra una freschezza tagliente ed un frutto giallo ed agrumato. Oggi perfetto, ma forse riuscirà a superare facilmente ancora qualche anno in cantina. Interessante il fatto che il cantiniere di Ronco Calino annunci un 2010 ancora più interessante.

In attesa che i miei compari mi raccontino Vinitaly 2016…

É da tempo che sostengo la via del “non dosato” o come direbbero i maestri francesi “nature” per i nostri Franciacorta, tanto da averne riempito con qualche decina di bottiglie la mia cantina. E proprio nell’assenza di liqueur vado a ricercare tirage più datati, convinto che qualche anno in bottiglia aiuti all’espressione di massima qualità, qualora presente, ed alla massima rappresentazione del frutto, troppo spesso coperto dalle tendenze acidule molto di moda anche oltralpe e molto invasive in vicinanza della sboccatura.

Da tempo accatastata e nascosta tra simili,  ieri mi è ricomparso questo Dosaggio zero, millesimo 2009 con sboccatura luglio 2013 da sole uve chardonnay. Prodotto dalla cantina Le Quattro Terre.  Elegante nei profumi, corretto e pulito al palato, ammorbidito da un frutto maturo a polpa gialla. Tagliente, ma al punto giusto.  Bottiglia finita in pochi minuti nonostante i bicchieri da riempire fossero solo tre.image

Mjère 2014

Caldo e carico di rosso fuoco come solo un tramonto salentino sa essere. Vendemmia, la 2014, particolarmente generosa di calore alcolico e di un fresco frutto rosso che riempe il palato e che inneggia ad un altro calice.

Non so cosa mi abbia spinto in pieno inverno ad aprire una bottiglia, una di quelle che rubo costantemente dalla cantina di Paolone, tipicamente estiva: sì perchè proprio in una calda estate salentina di una decina di anni fa è nato il mio amore per questa cantina pugliese (Michele Calò e figli); assaggiato quasi per sbaglio presso il ristorante Angolo Blu di Gallipoli, fu colpo di fulmine! Ridegustato qualche giorno dopo (credo che si trattasse della vendemmia 2005) a Santa Maria di Leuca (una foto nei miei ricordi immortala gamberoni crudi, bottiglia nel ghiaccio e 4 piedi direttamente nel mare più bello del mondo…) non poteva non far schioccare l’immortale scintilla.

90% Negroamaro 10% di Malvasia Nera Leccese, Indicazione Geografica Protetta. Da quella qui raccontata ho avuto la fortuna di degustare altre 5 vendemmie: nessuna come quella del 2014 mi ha dato  però l’impressione di tanto calore e frutto, pur su una apprezzabile struttura di acidità. Vendemmia particolare o cambio del progetto commerciale dei rosati salentini? La vendemmia 2015 ci darà la risposta! Paolone per quando hai prenotato le ferie?20160306_162235