Miscellanea per la fine di un anno bisesto e per l’inizio di un altro con il 17

Esagerato, si è esagerato! Scrivere un post per ogni vino degustato/bevuto/strapazzato, impossibile! Ci saremmo trovati obbligati a farci offrire subito una cena dal nostro amministratore, cena promessa al raggiungimento del centesimo articolo…

E per cui la scelta di ricordare; di ricordarli tutti, o quasi tutti; sicuramente tutti quelli significativi.

Natale, il pranzo di Natale, all’insegna di una scelta locale e modesta, ma non per questo priva di dignità… Chardonnay, semplice e profumato, Pinot nero, rustico e leggero, delle colline dell’estremo confine franciacortino: per cui il bianco ha potuto fregiarsi della denominazione, mentre il rosso è ricaduto nell’IGP Sebino. Siamo nell’Osteria del Maestrì ed a tavola ci sono i loro vini.


L’avevo già incontrato nel corso del passato anno (bisestile), l’ho voluto fortemente ritrovare prima che il bisesto finisse: e come nel primo incontro, è stato amore viscerale per l’intima eleganza, non solo della sua veste, e per la sua profondità pur mantenendo una semplicità di beva impressionante.




Di corsa… di corsa… ne è rimasto solo il ricordo di una bottiglia finita. Semplice, mi permetterei di definirlo commerciale, ma preciso, pulito, elegante.

Uguale sorte, il pomeriggio seguente per il fratello maggiore: ed in quanto maggiore ha mostrato tutta la sua forza ed i suoi muscoli. Non ne conoscevo le caratteristiche, ne temevo la deriva commerciale, che in realtà non c’è: il vino è intenso, vibrante, emozionante, vero.

Tagliente come una lama. Peccato un ricordo fotografico incerto, ma non il vino apparso alle mie papille straordinario; persistenza di frutta gialla che mi rimane impressionata nella mente a giorni di distanza.


Era tanto che non bevevo un Prosecco tanto interessante. Dolce ma gradevolissimo, di beva immediata e mai paga. Il limitato tenore alcolico ne ha concesso un consumo un po’ fuori “ordinanza”.



Siamo tornati sull’Oger con un Blanc de Blancs molto diverso dal precedente Vergnon:  a parte il fatto che trattavasi, come oramai al solito, di una bottiglia dimenticata, la cuvée non ha mostrato alcun segno di ossidazione. Anzi rimarrà nella mia memoria impressa per la regale speziatura e per un particolarissima nota di polvere di caffè al naso, così straordinaria quanto unica.


Dieci anni e non sentirli! Struttura inscalfibile, acidità misurata e pungente, tannino setoso: qui però ho capito perchè il sangiovese grosso viene chiamato dalle parti di Montepulciano “prugnolo gentile”, l’olfatto è variegato su note di prugna croccante o disidratata come mai mi era riuscito di osservare nei precedenti incontri con questo nobile produttore.


Non ho dubbi! Il RE!!! Il RE di tutto il 2016, ma forse di tutto l’ultimo lustro. Ritengo ingiusto trovare parole per descrivere un vero miracolo: è un capolavoro rinascimentale, un paradigma. 


Una leggera ossidazione, ma non tale da compromettere fragranza ed eleganza di un vino che mostra interessante struttura e notevole complessità. Giunto però al suo culmine e probabilmente sofferente sboccature datate (non ne conosco però la conservazione del campione “magnum” incontrato).


Un altro Blanc de Blancs, un’altra zona (Avize), un vino grande ed ancora diverso: sa di antico, con note di frutta matura e lontana affumicatura di un legno nobile e leggermente vanigliato. Di persistenza impressionante, capace di accompagnare a tutto pasto forse qualsiasi piatto.



Cosa vi raccontavo tempo fa del Pinot Grigio? Beh… lo ribadisco con forza! Alla vista il sospetto di ossidazione, visto il giallo dorato carico con cui è sceso nel bicchiere. Ma i profumi sono puliti, netti, di una fruttuosità esuberante. Al palato l’acidità ha ceduto un po’ il passo ad un alcool intenibile. Io non posso essere obiettivo, ma lui è parso anche a tutti i miei commensali grandissimo.


E per cui… era necessario ributtarsi immediatamente su qualcosa che celebrasse degnamente una delle più importanti cantine goriziane. Vino di 5 anni, ma sembrava di perdersi tra un campo fiorito ed un frutteto maturo. Oblio spettacolare.

Rimasti nel nostro italico nord est, ecco lo sbiadito ricordo di una grande uvaggio: sbiadito nel riflesso fotografico e nella nostra memoria, aggredita dall’alcool della (forse) decima bottiglia della serata. La mano tremolante ne è certamente testimonianza!


Borgogna, magica Borgogna! Nulla come la Borgogna. Sia che tu incontri un vino semplice, anche con qualche difetto (ossidativo) sia che tu intacchi il limite del tuo affidamento in banca, sfidando (perchè di sfida si tratta!) bottiglie con qualche zero prima della virgola. La profondità dello Chardonnay borgognone potrebbe essere assimilato ad un trattato teologico, ma la cui conclusione si definisca esclusivamente con un pavor numi…



Ne conservo in cantina decine di bottiglie, convito, come sono, che trattasi di uno dei Barbaresco più veri e fragranti, senza necessariamente dover contrarre tutte le volte un finanziamento. E nel tempo mi sono convinto che come tutti i Barbaresco (grandi) solo il tempo è capace di levigare la dura pietra del nebbiolo, perchè di anno in anno le bottiglie che apro sono sempre più buone. Chissà i prossimi magnum?


Non fa quasi più notizia scolarsi per merenda un noto prodotto di una grande maison. Preoccupante!…


….Se poi la merenda richiede il rinforzo… c’è qualcosa che non va!

E perchè non ricordare l’ultimo? Semplice semplice, facile facile. Nonostante una sboccatura non recentissima (188/14 ?) un prodotto integro, giovane, di estrema fragranza e riconoscibilità: non un grande Franciacorta, ma indubbiamente un Franciacorta!

d.c. (Che adesso per qualche giorno deve dedicarsi ad una dieta a base di un liquido poco nobile incolore, inodore ed insapore…)

Tour de force

Non riuscirò questa volta a raccontare tutto: la quantità di incontri di questi giorni, che ci porterà a bere in poche settimane un numero di bottiglie superiore a quello che normalmente apriamo in sei mesi, e soprattuto l’assenza di un approccio professionale che esige di registrare con doviziosità tutti i dettagli, implicherà un po’ di superficialità nell’aggiornamento del nostro blog dei ricordi.

Contrariamente alle mie abitudini (che mi portano a dimenticare le bottiglie a maturare in cantina) e soprattutto incuriosito dai giudizi di una guida nazionale, mi sono approcciato ad una bottiglia dalla recentissima sboccatura.

Metodo classico, non dosato, da sole uve di pinot nero, proveniente da una sola vigna, da Canneto Pavese in Oltrepo. Cantina Giorgi. Sboccatura marzo 2016.

E la giovinezza del vino viene rappresentata in tutti gli aspetti dell’analisi organolettica: giallo brillante nel bicchiere, ma estremamente scarico. Perlato da bollicine fitte e abbastanza intense, di grandezza non minuscola. Olfatto tenue, delicato, nettamente impostato su freschi agrumi, su tutti un mandarino e forse anche pompelmo. Entra nel cavo orale secchissimo, ma non tagliente come mi sarei atteso: anche al palato la sensazione principale è la lievità. Piacevole la chiusura retronasale che ricorda l’ananas, leggeremente addolcito. Fintamente con poca struttura: in realtà il vino, che probabilmente è stato pensato non muscoloso e senza eccessi, trova nel suo equilibrio generale e nella sua leggerezza la sua assoluta beltà.

d.c.


Bottiglia esclusiva per la cantina. Di forma elegante, ma non ho apprezzato qualità grafica e tipologia delle etichette.


Retroetichetta, con poche informazioni.


Analisi visiva.


Il tappo, esclusivo e di ottima qualità, nonchè perfetto.


L’unico elemento, oltre al colore dell’etichetta, che contraddistingue la specifica vigna: forse avrebbe meritato più spazio…

Canicola al solstizio d’inverno

Già alla vista comincia ad affascinare: troppo giallo per passare inosservato. All’olfatto vieni rapito da una profonda mineralità: troppo elegante per un vino base vinificato in cemento! Ed invece è proprio così: promosso a pieni voti al primo occasionale incontro! Porta dentro l’estate questo verdicchio, e la porta con una fierezza da premium wine. Tutto risulta nella misura, ed infatti è l’equilibrio l’elemento che più spaventa. L’olfatto spazia dalla frutta gialla al fieno ed alle erbe aromatiche, arieggiando in un solco decisamente materico e minerale, quasi di selce. In bocca l’abbraccio tra la freschezza acida ed il calore alcolico è da applausi. Netto, pulito ed anche qui minerale.Tutto è nella giusta misura per ammaliare al primo sorso. E tutto a meno di 10 eur…

Verdicchio dei Castelli di Jesi doc, 2015…di Gino…Fattoria San Lorenzo, Montecarotto (AN).

d.c.


Pardonnez moi, Madame: Est-ce que vous etes francais?

Mammamia che cosa non è questo non dosato di casa Cavalleri!

Intendiamoci: non voglio fraintendimenti! Non è mia assoluta intenzione paragonare i nostri amati Franciacorta ai sublimi francesi. Troppa la differenza delle zone vinicole anche solo in punto di clima. Troppa la differenza in termini di suolo. Rimane solo l’ispirazione: è assolutamente evidente che lo Champagne rappresenti per tutti un modello (anche industriale) unico ed irripetibile.

E questo straordinario Cavalleri, che tanto assomiglia a prodotti d’oltrealpe, è forse per questo ancora più straordinario.

Scende nel bicchiere vestito di un brillante giallo paglierino, ornato da infinito brulicare di minuscolo perlage: nobilissimo. Olfatto perfettamente definito e di complessità incredibile: frutta gialla sia fresca che disidratata, e tra questa una albicocca croccante; netta sensazione di leggera tostatura di una mandorla dolce. Speziato come sole le grandi maison sanno caratterizzare i loro prodotti. In bocca entra come un fendente: l’acidità taglia come un bisturi, e ferisce, piacevolmente, per la sua energia. Di persistenza impressionante. Torna alla deglutizione la tostatura leggera ed un anice stellato da brividi.

Probabilmente il miglior Franciacorta dell’anno; tra i migliori in assoluto prodotti con  metodo classico incontrati nel 2016.

Franciacorta Pas Dosè 2009. Chardonnay 100%. 13% vol. alcolico. Deg. Inverno 2013/2014.  Az. agricola Cavalleri, Erbusco.

d.c.




Il morso della vipera

Per molti anni è stato considerato uno dei più importanti vini bianchi d’Italia, fratello, non proprio minore, del celeberrimo Cervaro della Sala. Il Conte della Vipera viene prodotto da uve sauvignon blanc, con una minima quota di chardonnay. Oggi annata 2006, con tanta aspettativa di cogliere la franchezza di un grande vino, oramai maturo.

Ed invece.. AAAAAAHHHHH…. la rottura del tappo! In fase di stappatura il tappo è propriamente esploso in due parti. Considero l’evento al pari di una sventura, la punizione di qualche divinità. Chissà chi mai ho offeso…

Necessario operare, prima della degustazione, travasi e filtraggi per eliminare i residui di sughero, con l’umore che progressivamente si incupiva.

Il vino era comunque perfetto! Alla vista il giallo era ancora su note paglierine, solo leggeremente carico, privo di attese venature dorate. L’olfatto, per quanto non intensissimo, integro e nettamente costruito su nuances di frutta gialla a polpa acida come un ananas ovvero di agrume, ma più mandarino che arancia. Poi una bellissima foglia aromatica, forse una salvia ed un più caratterizzante dragoncello. In bocca la tenuta della freschezza comincia a lasciare il passo alla componente alcolica, contenuta in valore assoluto, ma rotonda ed ammorbidente il palato. Tale rotondità aiuta a far ritornare aromi retronasali sempre di frutta, qui però sciroppata o sotto spirito.

Chissà come avrebbe coinvolto il mio oblio senza la sventura!

Conte della Vipera 2006, Umbria IGT, Marchesi Antinori.

d.c.




Luna calante

Altissima l’attesa per un vino prodotto da una delle cantine più importanti del panorama piacentino: l’azienda agricola Tosa di Vigolzone da anni si erge per la qualità emergente dei propri prodotti. Oggi all’incontro era presente il Cabernet Sauvignon “Luna Selvatica” nella sua annata 2013, ma purtroppo anticipo subito la mia delusione perchè all’apertura del tappo, una netta sensazione di difetto è subito emersa. Forse più del classico “tappo” con l’invasiva molecola di tricloroanisolo, siamo in presenza della più subdola tetracloroanisolo! Ed è stato un vero peccato, perchè il vino sembrava avere tutte le caratteristiche per essere ricordato. Rubino inchiostro alla vista, di notevole corposità ed apparente “peso”. Nonostante il difetto, escono note scure di piccoli frutti di bosco, dolci, gradevoli, leggermente marmellatosi. In bocca la corposità e la muscolosità, quasi mascolina, del frutto riesce a scavalcare il mostro, che però ahimè rimane. Il peso che osservavamo nel bicchiere lo si ritrova in una corposità quasi carnale al palato. Nonostante tutto, esemplare l’equilibrio tra la componente acida ed il calore alcolico, notevole, che si sprigiona al sorso, figlio di una dotazione indicata in un 14% volume, ma forse persino un poco superiore. Impossibile però oggi ammettere un innamoramento.

d.c.


Particolare dell’etichetta.


È la storia di questa bottiglia! Io per questo riesco anche ad emozionarmi.


Evidente l’intensità del colore, e la componente glicerica e lacrimante.



Il colpevole!

Franciacorta… I love you… XI

Vado a rispolverare una rubrica ultimamente un po’ dimenticata, anche se del Franciacorta noi ne facciamo un consumo smodato…

Bottiglia nobile, anche nell’eleganza del proprio habillage: siamo andati a scovare in cambusa un Pas Dosé millesimo 2006, da sole uve Chardonnay, prodotto da Majolini di Ome, dedicato all’artista Aligi Sassu. Alla vista il colore biondo sta virando verso note dorate, perlage non intensissimo ma di finezza e persistenza estrema. Il sospetto di minima ossidazione sparisce però nell’avvicinare il naso al bicchiere, inondato da una magistrale intensità di frutti gialli maturi, pesca sciroppata, albicocca, e più tardi, con la perdita di temperatura,  anche di mela verde. Fendente in bocca, trascinato da una scarica acida vibrante. Persistenza notevole con aromi eleganti di frutta, più fresca di quella che avevamo assaggiato “al naso”. Credo di detenere ancora due esemplari in cantina, che possono attendere il proprio sacrificio.

d.c.


Il dettaglio dell’etichetta.


Il racconto ed i dettagli: sboccatura 2011? 5 anni sui lieviti, 5 anni in cantina.


… avete ragione: il bicchiere non è proprio da degustazione. Il giallo non è ancora dorato, ma comincia a caricarsi (alla cieca avrebbe potuto essere confuso con un blanc de noir.


Dettagli del tappo.


Vino puro

Origini umili, di estrema profondità non solo geografica, ma soprattutto nella storia per questa verdeca salentina. Amo questa cantina per i rosati, ma mi avvicinai a loro proprio tramite il loro vino bianco, accostamento ed abbinamento ideale alle ittiche crudità del tacco d’Italia. La breve permanenza del mosto sulle bucce, pur non facendo calare minimamente l’imponente acidità, estrae dalle stesse un potentissimo bagaglio di profumi: molto giallo l’olfatto, con frutti maturi, dalla sensazione quasi dolce, ma accompagnato da una leggera falciatura di erbe estive. Ma in bocca questa maturità viene immediatamente smentita, inquadrata dalla durezza dell’acidità rinfrescante; solo in chiusura una concessione di leggero calore che ammorbidisce il palato e lo appaga.

Mière, Bianco, Salento IGP, vendemmia 2014. 12,5% volume alcolico. Michele Calò & Figli, Lecce.

d.c.


Un’etichetta tutta da leggere.


Ricercatezza ed eleganza anche nella capsula.


E dove è tutto il sole del Salento?  Giallo paglierino carico, ma mai “dorato”.


La perfezione del tappo, realizzato con sughero ad alta densità.

Corsi e ricorsi

Qualche giorno fa ero  tornato sul Cisiolo di Villa Crespia declinato su una sboccatura più datata, questa volta mi sono risoffermato sul Numero Zero, che ricordo essere, a differenza del sopracitato non dosato blanc de noir, da sole uve chardonnay, nella medesima sboccatura (2013) già affrontata questa estate.

Già allora si era meritato un “Franciacorta… I Love You”, ma vuoi le temperature ambientali più rigide, vuoi un contesto differente, questa volta il vino è apparso meno prestazionale. Probabilmente a causa di una bottiglia non perfetta, sono apparse primigenite note ossidative, a soli 4 mesi dal gran campione agostano. Alla vista il brillante giallo paglierino animato da un perlage continuo e di grande finezza. Profumi abbastanza intensi, ma giocati solo su monotoni variazioni della mela (dalla verde alla golden, ed anche con note di leggera ammaccatura…). In bocca integro, secchezza tagliente, pulizia corroborante, piacevole chiusura su aromi tostati.

d.c.

Nella sua copertina protettiva


Bottiglia di sobria eleganza.


Dettagli di etichetta e…

…e retroetichetta.


Il tappo nei suoi dettagli.