Libera interpretazione celtica dell’ “occhio di pernice”

Ho cercato e ricercato nel web questo “Oeil de perdrix” padano che ho rintracciato nella mia cantina, ma non ne ho trovato orma nel web. Credo nascente dalla stessa ricetta di assemblaggio dell’attuale Rosè (ossia 70% Chardonnay e 30% Pinot Nero) di casa Facchetti in Erbusco . Lo sapete non sono un grande estimatore dei Saten di Franciacorta ed ancora di meno dei Rosè (… che razza di winesnob, direte correttamente Voi…), e tutto ciò è prova che non capisco un tubazzo! Perché questo “Occ de Pernis” è (sorprendentemente, ma la sorpresa è evidentemente solo per me) buonissimo! Veste una tipica buccia di cipolla tenue, molto delicatamente rosata. I profumi sono nitidi, netti, non intensissimi, ma gradevolmente fruttati. In bocca struttura e pulizia su tutto. Tagliente ed appagante. Dalla persistenza affascinante, lunghissimo abbandona il cavo orale lasciando un particolare ricordo di ribes rosso. Da ritrovare e riprovare!

d.c.

Riflessi di tramonto (e si riesce anche ad intuire l’azzeccato abbinamento ad un piatto di sushi).

Tocai, tocai… perchè sei tu tocai?

Guerra vinta o guerra persa? In termini di orgoglio nazionale senz’altro guerra persa, anche perchè dal punto di vista commerciale non credo ci sia mai stata una vera guerra, per l’impossibilità di confondere i due prodotti (il nostro Tocai ed il loro Tokaj). Dal punto di vista della caparbietà a mantenere alto l’onore e la qualità di un prodotto friulano di eccellenza, guerra assolutamente vinta! Anzi oso dire che siamo e saremo imbattibili.

Tipicamente inconfondibile perchè Tipicamente Friulano (utilizzando il motto lanciato qualche anno fa nella fase di difesa del vitigno): pugno di ferro nel guanto di velluto, il tocai (perchè io continuerò a chiamarlo così) rappresenta l’armonia degli eccessi. Combina un grado alcolico sempre generoso ad una acidità da corrosione; un’intensità di profumi da stordimento ad una complessità spesso inestricabile; una potenza e struttura da cazzotto nello stomaco, ad una finezza ammaliante che invoca ancora un bicchiere. Come possibile non amare un vino così, che come tutti gli amori difficili ti abbandona con un po’ di amaro(gnolo) in bocca.

Bevo Tocai da sempre. In alcune fasi storiche della mia vita ne ho bevuto con uso smodato, ma non conoscevo questo di Terre del Faet in Cormons, che non ha fatto altro che confermare le mie passioni.

d.c.

Oh Romeo Romeo perché sei tu Romeo!?

Rinnega tuo padre, rifiuta il tuo nome, o se non vuoi, giura che mi ami e non sarò più una Capuleti.

Solo il tuo nome è mio nemico: tu sei tu.

Che vuol dire “Montecchi”?

Non è una mano, né un piede, né un braccio, né un viso, nulla di ciò che forma un corpo. Prendi un altro nome.

Che cos’è un nome? Quella che chiamiamo “rosa” anche con un altro nome avrebbe il suo profumo.

 Rinuncia al tuo nome, Romeo, e per quel nome che non è parte di te, prendi me stessa.

William Shakespeare

Sottigliézza.

Fonte Treccani. Vocabolo “sottigliézza” s.f. (der. di sottile). – 1 Qualità di ciò che è sottile; in senso fig., leggerezza: la s.dell’aria di montagna; acutezza, finezza … 2 Con valore concr., osservazione, questione, argomentazione eccessivamente sottile, cavillosa e sofisticata… 

Ecco la percezione principale associabile al nebbiolo valtellinese di Rainoldi (Valtellina Superiore DOCG Inferno 2014 e Sassella 2012): la sottigliezza. Il corpo è fine ed elegante: un sottile velo, tessuto di organza, che non impegna il palato per la sua corposità, ma lo affascina per la sua complessità, mai banale. Sono vini non difficili, fragranti, che sanno di montagna, anzi che hanno la sottigliezza dell’aria di montagna (…); il tutto è giocato su un equilibrio mirabile che non li fa mai sentire eccessivi in freschezza (ma l’acidità è sferzante!) nè in termini di calore (ma il volume alcoolico non è irrilevante, 13%) con una base comune di frutto rosso carnoso  (più intenso ed amarognolo nell’Inferno, che è anche sensibilmente più giovane,  più maturo, suadente e sofisticato nel Sassella).

In abbinamento odierno a sana cucina di montagna, ricca di formaggio e burro. Da abbinarsi musicalmente a “Come é profondo il mare” dell’immenso Lucio Dalla…

d.c.





La modica quantità…



Brutta cosa essere prevenuti…

Il vino di questa sera non rimarrà certamente impresso secula seculorum nella RAM della mia memoria, ma è servito sicuramente a superare ingiustificati pregiudizi.  Metodo classico proveniente dalla denominazione milanese di San Colombano  al Lambro. Profumi non particolarmente intensi, giocati su una matrice di frutta, ma con una lontana ma piacevole nota affumicata piuttosto che tostata. Gusto secco, non condizionato dalla maturità di un frutto dolce che invece arrotonda la sensazione di freschezza.  Leggero ma corretto, sicuramente capace di vincere la prevenzione di uno abituato ad inzuppare i biscotti nel Franciacorta…(che peraltro non sapeva che a San Colombano si “alleva” anche il Pinot Nero).

d.c.

Il mondo sta veramente cambiando… terzo spiedo già prima di novembre (e fuori ci sono 20 gradi!).

Il mondo sta cambiando! Il clima sta cambiando! Ed anche il nostro gusto sta cambiando! Sarebbe stato inconcepibile, qualche anno fa, abbandonarsi agli abbiocchi postprandiali imposti dalla digestione dello spiedo senza brumosi pomeriggi autunnali e umide serate scandite dallo schioppettio delle caldarroste cotte a fuoco vivo…ma quali nebbie! Fuori ci sono 20 gradi, e della nebbia non è rimasto che il suo dannoso surrogato, chiamato smog, che ci vieta persino di accendere il nostro conviviale focherello, se no ci arrivano i vigili a casa! E di conseguenza stiamo adattando il nostro corpo a dedicarsi al locale monumento alimentare, nonostante le “avversità” climatiche.

E come promesso: VAI DI ROSSO!

Dopo due tagli bordolesi franciacortini, oggi ci dedichiamo ad un taglio benacense: Marzemino e Merlot. E’ il Ronco del Garda 2014 ( ancora denominato Benaco Bresciano IGT) della illuminata cantina lacustre Le Sincette di Polpenazze del Garda, fiera della sua certificazione biodinamica Demeter.

E’ tutto facile: dal succoso frutto rosso che sa di croccante ciliegia, all’uscita leggermente cioccolatosa. La freschezza integra invoglia alla beva, abbinandosi alla perfezione con la carne arrostita, detergendo il cavo orale dalla grassezza del piatto. Ma il vino vuole rimanere semplice, da tutti i giorni. Prezzo al ristorante di poco superiore ai 10 euro.

d.c.

Le mappae mundi.

Della ciliegia ne porta anche il colore.

Lo stupefacente spiedo dell’Osteria del Maestrì di San Vigilio. 

Poi mi diranno che non sono obiettivo… Rosso d’Asia 2012, Picchioni.

Il rischio che qualcuno dei nostri 3 (o forse 3.000) lettori, pensi che nei confronti del nostro “amico” Andrea Picchioni si abbia un occhio di riguardo, è effettivamente elevato. MA CHI SE NE FREGA! Evidentemente quei 3 (o 3.000) lettori non hanno mai bevuto i vini provenienti da Canneto Pavese, e non sanno quanto ‘sto Picchioni sia bravo! Inutile parlare dell’eroismo della sua viticoltura: basta leggerne le etichette. A me interessa parlare solo del suo vino e cercare di trasmettere le emozioni che tutte le volte mi prendono.

Bottiglia del 2012. Da nessuna parte si tratta dei vitigni ( Croatina 90% ed Ughetta di Solinga), ma solo della vigna forse destinata a certo espianto. Rosso rubino nel bicchiere, con qualche pennellata violacea, nonostante il lustro dalla vendemmia. Ha corpo solido, la roteazione è viscosa, le pareti di vetro lacrimano in mille rivoli. I profumi sono succosi, ricchi di frutta rossa, dalla ciliegia alle bacche di bosco. Sono profumi freschi, giovanili, non si percepiscono note terziarie. Ed in bocca esplode imponente. L’acidità è sferzante, necessaria dotazione di freschezza  per controbilanciare il calore proveniente da un tenore alcoolico muscoloso. Tutto è netto, percettivamente misurato. Equilibrio sublime, persistenza infinita.

L’unico rammarico è che il vino poteva riposare ancora almeno un altro lustro in bottiglia…

d.c.



Il privilegio del Lotto 1…


…rosso rubino ed i mille rivoli…



Il sorprendentemente perfetto abbinamento ai Gnocchi di colla “camuni” (…si! Quello che scorgete sul fondo è burro!!!)

Champagne di periferia.

Ancora difficile rintracciare bottiglie di Champagne provenienti dalle zone periferiche, quelle lontane dalle capitali classiche delle nobili bollicine. Ed è un peccato perchè molto spesso si incontrano bottiglie non solo degne di citazione, ma di notevole se non addirittura elevatissima qualità. Se non fosse stato per la passione (ed il buon palato) di un ristoratore di Lodi (ndr Ristorante Gaffurio) come avremmo fatto ad assaggiare questo mirabolante JEAN LAURENT Blanc de Noirs, proveniente da Celles-sur-Ource? Cittadina ad una decina di chilometri a nord della zona di Aube, nuova frontiera del Pinot Nero tanto da essere anch’essa dotata della sua Côte d’Or. Ma qui il Pinot ( e non solo il Noir, ma anche il Blanc ed il Meunier) è differente: rispetto ai vini del Nord la nota agrumata è più succosa ed arancione. Sa distintamente di mandarino. Ma su tutto spicca l’inconfondibile mirabelle. Piacevolissimo l’equilibrio tra la dolcezza del frutto maturo ed un’acidità incisiva, ma mai eccessiva nonostante un recentissimo degorgement. Un tenore alcolico limitato ne permette un consumo piacevolmente smodato…

d.c.

Délice de Bouzy

Non vi narrerò della sua cremosità e nemmeno della tagliente sensazione citrina che scalfisce il palato. Nulla sul suo equilibrio e su quella persistenza che tanto mi ha entusiasmato. Non vi racconterò nulla di tutto questo, ma solo il fatto che… forse ne ho bevuto l’ultimo! In prima istanza ricercato sull’enciclopedico wine-searcher.com, non ne ho trovato traccia. Allargata la ricerca sul dedicato sito internet, scopro che è in produzione solo l’assemblaggio 80% Pinot nero 20% Chardonnay, ma apparirebbe abbandonato il 50 e 50. Chissà da quanto tempo è stato abbandonato e soprattutto da quanto tempo la bottiglia dimorava tra le mie cataste: apparentemente da poco, perché il liquido divino era perfetto.

d.c.

La fotografia non è mossa, e Voi non avete, ancora, bevuto troppo! La scritta del Barone è a prova di visita oculistica…

Eleganza francese

E’ sempre così! Ogni qual volta Tito e Tarantula (al secolo Tito e l’Editore) si ammazzano in degustazioni/manifestazioni e festività varie, poi per giorni e giorni ci si ritrova a bere le loro “scoperte”. E non poteva essere diversamente dopo la straordinaria degustazione di Lugana di qualche settimana fa (vedasi il post di grande successo del 15 settembre).

Dopo qualche giorno mi sono trovato di fronte ad una bottiglia accuratamente celata per degustazione alla cieca, al fine di provare le nostre capacità di riconoscimento: “non ho dubbi! E’ un naso francese”, azzardando persino e con notevole dose di tracotanza una appellation borgognona…

…Eppure i vini di Cà Lojera, in particolare la Riserva del Lupo, li bevo da sempre. Rappresentano la mia idea di Lugana. Ma un olfatto così nobile e prezioso non l’avevo mai incontrato: a dir poco stupefacente! Elegante, fine, profondo. Non c’è solo la frutta gialla, ma una complessità floreale e minerale composta. Intenso e cangiante. Più riconoscibile poi al gusto, la turbiana lascia trasparire un po’ la sua rusticità, anche se i due binari di sapidità ed alcoolicità la contengono strettamente. Nonostante però un tenore alcoolico intenibile l’equilibrio è esemplare e la beva non appare mai appesantita.

d.c.



Nuovo spiedo… nuovo rosso.

Vi ho già spiegato che ogni volta che mi avvicino ad uno spiedo bresciano, la voglia è quella di ricercare un abbinamento con un rosso di terra bresciana. Questa volta è stata l’occasione per stappare un Curtefranca doc Cavalleri 2014. Più “bordolese” del recente Cà del Bosco 2014 di qualche settimana fa (10 settembre 2017); qui la sensazione verde  ed un po’  di acerbezza è affiorante, senza però sconvolgerne l’equilibrio generale. Anzi di notevole pregio la percezione di leggerezza della bevuta, impegnata tra le durezze acide e dei tannini ancora graffianti, ma non per questo appesantita. Sicuramente meritevole di attendere ancora qualche anno in bottiglia.

d.c.

Lo so… lo so…formato mini (0,375 l) per perseguire morigeratezza (…)